“Gli studi fatti sulla situazione in Inghilterra e Israele parlano chiaro, più la campagna vaccinale avanza più diminuiscono ricoveri e decessi. In piccolo lo vediamo anche qui da noi: il nostro personale, ovvero medici, infermieri ed oss sono tutti vaccinati, e sono stati tra loro azzerati i casi di contagi con sintomi significativi, che necessitano ricoveri e cure”.Così Davide Grassi, 45enne primario di Medicina interna e responsabile del reparto covid dell’ospedale dell’Aquila, alla vigilia della riapertura in programma lunedì prossimo nella maggior parte delle regioni, tra cui l’Abruzzo, in zona gialla. Professore associato all’Università dell’Aquila, romano di origine, da vent’anni a L’Aquila, Grassi, in prima linea nella emergenza covid da oltre un anno, mette in guardia da ‘liberi tutti’ prematuri: “Voglio esprimere una immensa riconoscenza a chi in questi mesi assieme a me ha affrontato l’emergenza nel reparto che dirigo -spiega il primario -, i 10 medici, i 25 infermieri e gli altrettanti oss. Abbiamo vissuto un impatto umano e psicologico pesantissimo, inimmaginabile. Ma questo avviene qui dentro, e spesso non c’è piena consapevolezza oltre queste mura. Ecco perché siamo sempre prudenti davanti alle riaperture, per quanto compressibili, da un punto di vista sociale. Abbiamo visto persone di 45 anni, padri di famiglia, peggiorare da un giorno all’altro e andare d’urgenza in rianimazione. Siamo stati mesi a contatto quotidiano con pazienti isolati dal mondo, circondati da medici con lo scafandro, algidi e asettici, in un contesto carcerario, impossibilitati ad avere il diretto contatto e conforto dei familiari. Anche questo ha impattato sulla risposta alla malattia. Il rischio da evitare è di abituarci al peggio. Io dico sempre ai miei studenti che ogni paziente è come un nostro familiare, non è un numero, e questo comporta una grande pressione anche dal punto di vista umano – continua. Secondo il docente dell’ateneo aquilano, “sono migliorate le terapie con la sperimentazione sul campo di medicine sempre più mirate ed efficaci. Questo fa ben sperare per il futuro, ma non bisogna dimenticare che anche ora i morti sono a centinaia ogni giorno in Italia, come pure il dolore e il sacrificio anche di tanti medici caduti sul campo di battaglia, che finora ha portato l’epidemia. Non abituarsi, parafrasando Hanna Harendt, alla ‘banalità del male'”.