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SULMONA – Non chiamiamola festa della donna. Sarebbe maledettamente riduttivo e oltremodo sbagliato. Quel che si commemora oggi è ‘la giornata internazionale della donna’. Che nulla ha a che vedere con l’uscita a cena in locali addobbati per l’occasione per sole donne nei quali poi fare bisboccia.E’ un evento per riflettere e per dibattere su quanto la politica e le istituzioni tutte possono e devono ancora fare per abbattere tabù, pregiudizi e retaggi culturali ancora oggi duri a morire. Ventiquattro ore per ricordare le sofferenze, le discriminazioni ma anche le tante battaglie messe in campo, nel corso dei decenni, per conquistare autonomia, indipendenza economica, emancipazione, parità di diritti e doveri. Ventiquattro ore per sottolineare non tanto quanto è stato fatto ma quanto rimane da fare. Abbiamo scelto due volti per celebrare questo 8 marzo: Linda e Alina. La prima è la donna pugnalata sotto casa dal suo ex la scorsa estate. Lui è ancora rinchiuso dietro le sbarre e lei sta ha ripreso in mano la sua vita. “Non chiamatela festa” ripete al telefono convinta che “non basta un 8 marzo per cambiare gli approcci culturali della quotidianità”. Alina è la giovane ucraina di 25 anni che è riuscita a scappare dalla sua terra sotto assedio assieme alla sua bimba di tre anni e mezzo. Entrambe con un panino, un abbigliamento minimo e tanta paura. La giornata di quest’anno ci mostra anche il volto di una donna in guerra, chiamata a custodire la prole e resistere, nel vero senso della parola. Altro che festa. Tuttavia, se negli ultimi tempi si sono ridotti i banchetti e si sono incrementati gli eventi di sensibilizzazione, la strada intrapresa probabilmente è quella giusta. (a.d’.a.)

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