Tornare a lavorare in piena sicurezza. È quanto chiede la Uil che prende posizione all’indomani dell’aggressione da parte di un detenuto nei confronti del medico di turno nel pronto soccorso. Di seguito pubblichiamo la nota:
“E’ giunto il momento di dire basta! E’ giunto il momento di dire che questa sanità è un’altra cosa rispetto a quello che noi medici abbiamo in mente e per cui ogni giorno combattiamo la nostra piccola battaglia della vita.
Non è accettabile lavorare con la paura che un paziente, detenuto o brava persona che sia, possa picchiare un medico nell’esercizio delle sue funzioni. Deve essere chiaro a tutti che nessun medico ha come obiettivo nella sua giornata di fare male il suo mestiere; si può essere più o meno capaci, più o meno predisposti, più o meno empatici ma nessuno , scegliendo la lunga e faticosa strada della medicina , sceglie di fare del male.
In una società in cui ancora si punisce chi difende la proprietà o se stesso, si tollera che nei servizi sanitari, quelli di emergenza soprattutto, sempre più spesso gli operatori vengano maltrattati dai pazienti che, addirittura, spesso, sono persino giustificati dal “ben pensare” comune.
E’ ora di dire che i medici non ne possono più, che non si sentono tutelati né protetti da un sistema sanitario che negli ultimi decenni si è mostrato sempre meno attento alle necessità dei lavoratori. Forse non è chiaro a tutti ma siamo molto vicini alla resa dei conti: il risparmio sul personale ha determinato una gravissima penuria di professionisti, il continuo ricorso a contratti a tempo determinato non ha permesso di fidelizzare i bravi medici che si sono rifugiati nel privato o all’estero, il mancato adeguamento degli stipendi ha indotto i giovani a scegliere altre strade di vita, l’eccessiva politicizzazione della sanità ha fatto sparire la meritocrazia a favore di mercificazione della professione e dei posti di potere. Si aggiungono a tutto ciò due riforme della sanità che hanno sottratto risorse, hanno ripensato l’organizzazione sanitaria in termini economico-politici e non in funzione dei reali bisogni, hanno fatto del bene salute un bene commercializzabile secondo le regole dei mercati, come se si potessero porre sullo stesso piano servizi sanitari e pomodori!
Il risultato è stato l’impoverimento delle periferie e dei piccoli centri, la sofferenza delle zone meno popolose che, a parità di servizi possono contare su risorse nettamente inferiori, l’aumento della quantità e qualità delle prestazioni richieste a fronte di una continua e costante diminuzione della capacità di erogarle : man mano che i professionisti vanno in pensione non sono sostituiti da medici giovani. E’ sotto gli occhi di tutti quello che sta accadendo per la Pediatria di famiglia per esempio, ove non sono più disponibili pediatri di famiglia con genitori costretti ad iscrivere i propri figli ai medici di Medicina Generale; è una sconfitta per tutti perché la specificità, insieme con la prossimità, delle cure è il perno su cui dovrebbe girare il nostro Sistema Sanitario che tutti ci invidiavano fino a qualche tempo fa.
I medici devono tornare a sentirsi orgogliosi della propria professione, devono poter abbandonare quel senso di stanchezza e frustrazione sempre più pressante sia per chi lavora in ospedale sia per chi ha scelto il territorio. E’ necessario che il medico riacquisti il suo ruolo centrale nella decisione di cura, che torni ad essere protagonista della propria professione, senza dover abdicare ogni giorno al proprio sapere e saper fare in funzione della mancanza di posti letto tagliati senza pietà nel nome del risparmio, della mancanza di riposi a causa di una cronica mancanza di personale, di rapporti interpersonali privati e professionali rovinati da una vita lavorativa non appagante, di stipendi ormai inadeguati e decisamente inappropriati rispetto all’impegno che si pretende. Ma perché tutto questo accada è necessario rimettere al centro la salute, nella completezza della sua accezione, memori di una pandemia recente che non ha lasciato scampo ad un Sistema Sanitario a brandelli e ha riversato sul campo di battaglia un numero troppo alto di vittime. Il Coordinamento Medici della UIL, consapevole di quanto esposto, lavorerà alacremente perché si possa invertire la rotta opponendosi, per esempio, all’irricevibile proposta del pensionamento dei Medici di Medicina Generale a 74 anni, vigilando perché nei servizi di emergenza si torni a lavorare in numero congruo e in sicurezza (chiedendo, ad esempio, che venga ripristinato il Posto di Polizia), chiedendo con forza i concorsi a tempo indeterminato senza ricorrere alle Agenzie Interinali perché una delle peculiarità della professione medica è proprio la continuità, la possibilità, da parte del paziente, di fidarsi e affidarsi.
Quanto genericamente si parla di servizi sanitari dovremmo avere ben presente che non si tratta di qualcosa di astratto ma di persone che il più delle volte si trovano in una condizione di bisogno ed è proprio quel bisogno il motore che muove la sanità e i suoi servizi”