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Dalla seconda metà del secolo scorso, nelle società occidentali, ruoli e ideali di genere sono profondamente cambiati: l’impatto di fattori sociali, economici e culturali ha trasformato i rapporti fra uomini e donne, fra genitori e figli, dentro e fuori la famiglia. Se il maschietto era in lacrime per una piccola ferita veniva intimato a ‘non fare la femminuccia’ ma di mostrare ogni espressione di aggressività nei giochi dei bambini come nelle esibizioni di prestanza fisica degli adolescenti. Mentre alle piccole donne non è più richiesto di essere dolci, fragili e remissive come le principesse delle fiabe, ma autonome, competenti e coraggiose come le nuove eroine. Nell’immaginario collettivo, il maschio guerriero è diventato metrosexual (narcisisti e salutisti), mentre la sognante principessa si è trasformata in una wonder woman dotata di superpoteri. Fin dai protagonisti delle fiabe dell’infanzia, ogni cultura presenta ai più piccoli immagini ipersemplificate di che cosa significhi essere femmine e maschi nella società in cui stanno crescendo; per questo è importante riflettere sulla funzione che modelli e ideali di genere culturalmente condivisi svolgono nella costruzione identitaria degli uomini e delle donne del futuro. Da quando, ormai quasi un secolo fa, la Walt Disney Corporation ha trasformato in film d’animazione le più note favole per l’infanzia, principi e principesse, streghe e nani hanno assunto per tutti le fattezze dei personaggi dei cartoon. Da allora, genitori e nonni non hanno mai smesso di proporre a figli e nipoti le intramontabili fiabe della loro infanzia: non c’è bambino nel mondo occidentale a cui non siano familiari i personaggi e le trame della Disney, anche se il mondo è molto cambiato da quando sono apparsi per la prima volta sugli schermi. È facile immaginare che una ragazzina post-moderna possa guardare con un certo scetticismo al finale romantico «e vissero per sempre felici e contenti».

Ora, ci si dovrebbe chiedere se il mondo delle fiabe contiene narrazioni superate e dannose o la scoperta dell’evoluzione dei ruoli di genere può rendere più consapevoli dei significati impliciti nelle diverse interpretazioni dell’essere maschio o femmina. La presenza dei personaggi dei cartoni animati nella vita dei bambini va ben oltre la visione del film, compare nei giochi, nei gadget e nei travestimenti, e si presta a trasmettere stereotipi e sistemi di valori. Le vicende dei protagonisti delle fiabe animate ripercorrono l’evoluzione degli ideali di genere e dei loro reciproci rapporti nell’arco di un secolo; prendiamo le principesse dei primi film animati: sono giovani donne docili e gentili, ingenue e sottomesse, che cucinano e ramazzano cantando e accettano senza protestare il proprio destino, sicure che, prima o poi, apparirà nella loro vita il principe da sempre atteso, che premierà la loro grazia e la loro bellezza rendendole felici. Sono giovinette dall’animo gentile, dedite e passive, così ingenue e sprovvedute da non saper oltrepassare la soglia di casa senza la protezione di un uomo, ma straordinariamente competenti in ambito domestico, naturalmente capaci di cucinare e badare a una casa: queste abilità sono così connaturate alla natura femminile che sembrano svilupparsi fisiologicamente con la pubertà, proprio come le forme del seno e dei fianchi. A questa spontanea propensione alle virtù domestiche fa da contrappeso l’assoluta incompetenza a vivere nel mondo: per fortuna, appena varcata la soglia di casa si palesa un principe valoroso e protettivo, animato dal desiderio di prendersi cura di loro. Solo all’inizio degli anni novanta le principesse Disney cominciano a desiderare di affacciarsi oltre le mura del castello, e sfidano l’autorità paterna per uscire dalla gabbia dorata in cui vivono. Le nuove protagoniste dei cartoon, Ariel e Belle, Jasmine, Pocahontas e Mulan, incarnano una femminilità più intrepida e indipendente: rifiutano abiti e comportamenti tradizionali e si appropriano di virtù in passato prettamente virili. La loro bellezza rimane indiscussa, ma non è più rigorosamente bionda e angelica: la chioma rossa di Ariel ne La Sirenetta anticipa la fulva capigliatura indomabile di Merida in Ribelle, e compaiono sugli schermi le fattezze esotiche di Jasmine di Aladdin, Pocahontas e Mulan, i cui corpi atletici nuotano e si arrampicano, finalmente liberi da corsetti e abiti da ballo. Le loro storie sembrano suggerire che solo mascolinizzandosi nel corpo e nella mente, sfoderando doti atletiche e perfino guerriere, è possibile emanciparsi da una femminilità permeata di fragilità e dipendenza infantile: Ariel salva la vita al principe Eric, Belle e Mulan rischiano la vita per proteggere quella dei loro padri, tutte ribaltano lo schema tradizionale della relazione fra i sessi. Questi cambiamenti si consolidano nei cartoni animati del nuovo millennio, le cui protagoniste sono dotate di tratti identitari più complessi, costruiti in percorsi di sviluppo per prove ed errori, processi di soggettivazioni articolati e conflittuali piuttosto che trasformazioni istantanee da ragazzine ingenue a «donne da marito», come era stato per la povera Aurora de La bella addormentata nel bosco, i cui festeggiamenti per il sedicesimo compleanno erano stati rapidamente sostituiti dalla celebrazione di nozze reali. Per le nuove principesse la formazione della coppia amorosa non è un destino inevitabile: al termine dell’avventura Merida, Elsa e Vaiana rinunciano, almeno per il momento, a costruire una famiglia, anteponendo obiettivi diversi, legati all’eredità della leadership paterna e al desiderio di costruire un modo nuovo, forse più femminile di interpretarla. Nelle trame più recenti il legame fra maschi e femmine non è più necessariamente sentimentale, ma i personaggi imparano a conoscersi e collaborare, sostenendosi a vicenda nell’avventura della crescita. La storia di Anna, coprotagonista di Frozen è esemplare al riguardo: il principe Hans si rivela egoista e inconsistente, un imbroglione privo di valore, ed è, invece, il rozzo ma affascinante Kristoff, sicuramente imperfetto, a conquistare il cuore della principessa. I limiti e i difetti del partner non sono più velati dalla cecità dell’amore romantico, se mai mitigati da un’ironica tolleranza delle imperfezioni e dalla disponibilità a spendersi per obiettivi condivisi. Anche sul versante maschile i cambiamenti sono evidenti: il processo di formazione maschile non si esaurisce più in un allenamento della forza e del coraggio fisico, ma punta a sviluppare la mente e la ragione, al servizio del progresso scientifico e tecnologico. La crescita avviene attraverso una trasmissione di competenze rispettosa della gerarchia tra il giovane discente e una figura paterna che svolge funzioni di insegnamento, messa alla prova e valutata, in nome del merito e della competenza. In questa prima fase, il legame di coppia è del tutto marginale, se non addirittura d’intralcio alla formazione dell’identità maschile: il giovane uomo rifugge il vincolo esclusivo che ostacola le sue istanze esplorative, e perfino il mago Merlino, mentore esemplare, ammette la propria incompetenza nelle «cose d’amore». Solo in una fase successiva il cuore si aggiunge ai muscoli e al cervello come ingrediente necessario alla maturazione personale del giovane uomo. Con La bella e la Bestia ed Hercules la capacità di amare diventa una dote essenziale, che consente di evolvere dai comportamenti impulsivi, aggressivi e competitivi che connotano come «bestiale» una mascolinità non temprata e modulata dalla tenerezza e dall’empatia, come dimostrano Gaston e la Bestia stessa, prima della sua trasformazione in principe grazie alla funzione evolutiva del legame amoroso.

Nello stesso periodo anche il ruolo paterno si trasforma: padri, maestri e allenatori esercitano da qui in poi, in maniera profondamente affettiva, la propria funzione; perfino l’onnipotente Zeus è per il piccolo Hercules un padre tenero e preoccupato: l’iniziazione maschile alla vita adulta non richiede più prove di forza e sprezzo del pericolo, ma assunzione di responsabilità e impegno affettivo. Nell’ultimo scorcio di secolo maschi e femmine, genitori e figli sembrano perdere specificità e prerogative: i maschi si legano, le femmine esplorano, i padri amano, le madri impongono le regole. Negli ultimi cartoon appare però in tutta evidenza la crisi del maschio: come i giovani narcisi, fragili e disorientati che frequentano gli studi degli psicologi, i protagonisti dei film d’animazione sembrano cercare una soluzione alla crisi della virilità nel culto del corpo e nella costruzione dell’immagine, alla ricerca di una perfezione estetica in grado di annullare ogni insicurezza. Ne è espressione esemplare Maui, il semidio ridotto a sparring partner di Vaiana, la vera protagonista di Oceania: un ragazzone dai lunghi capelli super curati e dai muscoli ricoperti di tatuaggi che cerca nel culto della propria immagine un risarcimento alle ferite generate da perdite antiche e recenti, ma che solo nella relazione fraterna con Vaiana riuscirà a evolvere. Il capovolgimento degli stereotipi di genere è ormai compiuto: la protagonista femminile è abile, coraggiosa e sprezzante del pericolo, mentre il suo compagno, pur dotato di una stazza robusta e di un fisico muscoloso, è paralizzato da ansie e timori che lo rendono riluttante a seguirla nelle sue avventure.

Per quanto riguarda la formazione della coppia, i cartoni Disney delineano un percorso parallelo all’evoluzione dei costumi sociali: la scintilla del colpo di fulmine che fa scoccare l’innamoramento attraverso un magico scambio di sguardi, un incastro istantaneo e perfetto, è sostituita nei film più recenti con percorsi di reciproca conoscenza più articolati e contrattuali. La bellezza non è più l’unico requisito necessario all’incontro amoroso, ma le personalità dei protagonisti diventano più complesse, i loro ruoli meno stereotipati, il loro rapporto più paritetico. Le donne, più autonome e sicure, rifiutano di essere consegnate dal padre al marito, e prima di promettere amore eterno a uno sconosciuto lo mettono alla prova affrontando con lui avventure lontano dalla protezione e dalle imposizioni della famiglia. Innamorarsi non è più l’unica forma di realizzazione di sé e il matrimonio decade da obiettivo esistenziale e obbligo sociale. La relazione fra maschi e femmine, pur conservando valore, non è più esclusiva e idealizzata. Complicità e solidarietà segnano il passaggio dalla coppia romantica alla coppia amicale, che nella reciproca collaborazione sviluppa competenze maturative, anche se il rapporto non durerà «per sempre»: al termine dell’avventura la coppia non convola a nozze ma si separa, e ognuno procede per la sua strada.

Se l’evoluzione dei modelli di genere nei cartoni animati rispecchia quella della cultura che li produce, se ne può dedurre che nella civiltà post-moderna ruoli e ideali di genere non sono più espressioni di una naturalità prescrittiva cui il singolo deve adeguarsi ma interpretazioni soggettive, espressioni di inclinazioni e bisogni individuali. Le donne rinunciano alla dolcezza e al loro infinito senso materno; gli uomini sono più vulnerabili e dipendenti, meno solidi e protettivi: il rischio che il legame sentimentale ostacoli la realizzazione personale ha affievolito la tensione relazionale tra uomo e donna e l’intensità del reciproco desiderio;

Ma come ogni cambiamento, quello delle donne e degli uomini contemporanei produce instabilità e incertezze, contraccolpi e derive che riempiono le cronache dei quotidiani. Cambiamenti che favoriscono il benessere personale, ma producono incertezza e disorientamento, alimentano la conflittualità delle coppie e alcune criticità: l’instabilità delle famiglie, il calo demografico, perfino la violenza di genere. Prestare attenzione e intervenire a livello educativo sugli stereotipi di genere, quelli del passato e quelli più recenti, per promuovere il reciproco riconoscimento dei caratteri e per superare prese di posizione giudicanti che alimentano catastrofismi.

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