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SULMONA – “Il paziente deve avere un filo diretto con il centro dove viene curato. Serve un protocollo di emergenza. Non lo dico solo per me ma per tutti i pazienti che si trovano nella stessa situazione”. A sfogarsi ai nostri microfoni è Luigi Di Rosa, 54 enne residente a Vallelarga di Pettorano sul Gizio, da qualche giorno tornato in detenzione domiciliare per scontare la pena residua che si è cumulata dopo l’arresto del 2020, dovuto alla vicenda del bar La Kiarenza. Luigi, lo scorso 4 settembre, era stato portato nel “carcere killer” di Castrogno, dopo la denuncia di un infermiere del Centro Salute Mentale che lo aveva accusato di percosse e minacce di morte. Ipotesi di reato che sono state confutate davanti al Tribunale di Sorveglianza che, dopo un mese, ha scarcerato Di Rosa, per ripristinare i domiciliari. Ma dietro le sbarre, in quel carcere dove era stato già rinchiuso nel 2020 in piena emergenza pandemica, Di Rosa ha rischiato seriamente di incontrare la morte. Non ha retto al crollo emotivo e aveva preso una corda, realizzata con le lenzuola, fino ad attaccarla ad una grata. Voleva uccidersi. A salvarlo in extremis ci ha pensato un amico che, pur di interrompere l’estremo gesto, si è tagliato il tunnel carpale. Portato in infermiera, Di Rosa è stato sottoposto alle cure ma alcuni giorni dopo ha tentato di nuovo il suicidio. Due tentativi in pochi giorni fino a quando è stato trasferito nel carcere di Avezzano prima di tornare a casa in detenzione domiciliare. “Un carcere inumano. Dovevamo cucinarci nello stesso spazio dove potevamo fare i bisogni. Tre anni fa avevo perso 40 kg, prendendo per ben tre volte il Covid. Devo ringraziare il dottor, Massimo Tardio, che mi ha curato”- spiega Di Rosa che a fine agosto, essendo paziente in cura al Csm, si era recato nella struttura in preda ad alcuni attacchi di panico. Il Csm non ha una funzione di emergenza-urgenza. Per questo è stato indirizzato al pronto soccorso per un’intera giornata. All’esito degli accertamenti, con il referto tra le mani, era tornato di nuovo nella struttura di viale Mazzini. Ma senza appuntamento il paziente non può entrare. Per questo sono intervenuti i Carabinieri. Prima data utile dopo un mese. Passa qualche giorno e in un bar Di Rosa incontra l’infermiere del Csm. “Ho detto qualche parola. Non lo nego. Ma non ho alzato le mani”- aggiunge il 54 enne che per quelle riferite percosse, poi non riscontrate in Tribunale, era finito di nuovo in carcere dove ha tentato di uccidersi. Sulla vicenda sta indagando la Procura della Repubblica di Sulmona, chiamata in causa proprio da Di Rosa che ha presentato un esposto. “Ho denunciato l’operatore del centro. Chiedo il risarcimento e le scuse. Questa vicenda deve servire per ripensare la modalità di accesso in queste strutture. Ci sono delle esigenze urgenti e una rete di emergenza è necessaria per prestare ascolto e attenzione a tutti noi pazienti”- conclude Di Rosa.

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