banner
banner
banner
banner
banner
banner

IL DISAGIO PSICOLOGICO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS - VADEMECUM PER ...

 

La dottoressa Lola Di Stefano, psicologa e psicoterapeuta, ha raccolto dati emersi all’interno di un campione di esperienze professionali, esaminando i dati relativi a persone che hanno richiesto un sostegno, a volte anche farmacologico nella fase 1 e nella fase 2.

Dottoressa, cosa è emerso dai dati da lei raccolti?

È stato possibile raccogliere dati relativi a 20 persone, 14 donne e 6 uomini, di età compresa tra i 23 e i 65 anni, tutte con precedenti di percorso psicoterapeutico e/o terapia con psicofarmaci, sondando, tra l’altro, la presenza di attività lavorativa stabile, da remoto o in presenza, l’intensità della sintomatologia, la sua preesistenza, le cause,  le risorse risultate utili per la persona e se la psicoterapia si sia avvalsa di sedute on-line ( valutando in tal caso la loro efficacia).

Inoltre, dopo l’inizio della fase 2, è stato chiesto ai pazienti se riscontrassero difficoltà a riprendere i contatti con il mondo esterno, quantificandole in una scala da 0 a 10 , dove al punteggio 0 corrisponde  il bisogno di permanere all’interno delle mura domestiche e al punteggio 10 il bisogno di riprendere pienamente la vita di relazione, con disagio nel rimanere in casa.

Tutti i 20 pazienti esaminati hanno risentito in modo limitato della crisi economica e sociale: il loro equilibrio di vita non è stato sconvolto totalmente, non hanno perso il proprio posto di lavoro né hanno modificato in modo drammatico il proprio assetto economico Ciò nonostante molti hanno sperimentato l’emergere di un forte malessere durante l’esperienza del lockdown e/o in seguito ad essa.

C’è una sintomatologia particolare che è stata prevalente?

La sintomatologia descritta è stata prevalentemente: stato ansioso (12 pazienti), pensiero ossessivo (10), disturbi del sonno (7), accentuata paura del contagio (6), sensazioni di angoscia (5), stato depressivo (4), ipocondria (4), umore instabile (3), disturbi dell’alimentazione (3), fobia sociale (2), attacchi di panico (2), accresciuta dipendenza affettiva (2), rupofobia (1), logorrea (1).

L’intensità dei disturbi è stata valutata soggettivamente ed è risultata da media ad elevata. 6 persone hanno iniziato una terapia farmacologica (antidepressivi, benzodiazepine), 3 persone hanno assunto integratori per migliorare lo stato d’ansia e il tono dell’umore.

Ha rilevato modalità comportamentali differenti tra la fase 1 e la fase 2?

Nella fase 1 hanno richiesto incontri psicoterapeutici 8 persone, attribuendo il proprio malessere a diverse cause: la paura del contagio, la scarsa fiducia nelle strutture del territorio, la solitudine, il senso di claustrofobia, la mancanza di hobby, l’impossibilità di distrarsi, di tenere la mente impegnata in obiettivi concreti, lo stravolgimento dell’organizzazione familiare, la mancanza di programmazione, la mancanza di libertà, la mancanza di novità, le conseguenze del virus sul lavoro sanitario, le situazioni di convivenza forzata, l’incertezza economica e sul futuro, la paura di non riuscire a gestire le conseguenze della pandemia, la situazione di continuo allarme per la presenza di positivi al Covid sul territorio. Molti hanno osservato che non essere impegnati nel lavoro e non poter uscire ha accentuato problemi che erano preesistenti.

Nella fase 2, hanno richiesto consulenza psicoterapeutica 5 persone e all’inizio della fase 3, 2 persone: in questo periodo della pandemia il malessere è stato attribuito ai rischi legati all’allentamento delle misure, alla paura degli incontri, alle remore nel frequentare luoghi e mezzi pubblici, alla rabbia per comportamenti inadeguati alle misure di prevenzione, al cambiamento degli equilibri personali e familiari dopo la fase 1,  agli effetti a lunga scadenza della sedentarietà e dei disturbi del sonno  (risultati al terzo posto tra i sintomi descritti) e al riemergere di problematiche che, nella fase di chiusura totale, non avevano avuto modo di essere elaborate.

Secondo lei questo lockdown ha messo in evidenza disturbi già presenti o sconosciuti?

Le fasi legate alle misure di contenimento del Covid e il relativo cambiamento di equilibri hanno talvolta determinato il ripresentarsi di sintomatologie pregresse o, in alcuni casi, di nuovi sintomi, portando le persone a ricorrere a psicoterapia o farmacoterapia, ovvero cambiando il dosaggio della terapia in corso

Sembra che la modalità espressiva del sintomo, come risposta ad uno stato di squilibrio, sia stata messa in atto da individui con caratteristiche di personalità diverse in fasi dell’emergenza differenti: nella piccola realtà considerata, ad esempio, 4 persone hanno sperimentato nella fase 1 un relativo senso di benessere e sicurezza ed una sintomatologia ansiosa più intensa nelle fasi 2 e 3, con comportamenti di evitamento dell’esposizione alla vita sociale e difficoltà a riprendere ritmi ed abitudini precedenti.

Si potrebbe ipotizzare che coloro che nella propria quotidianità erano riusciti a stabilire modalità egosintoniche (lavorative, di relazione, di godimento del tempo libero) potrebbero aver visto compromessi i propri riferimenti. soprattutto durante la fase 1. Pertanto la privazione di esperienze  abitualmente utilizzate dai pazienti per assicurarsi gratificazione, contenimento, scarico delle tensioni, evitamento dell’angoscia e distrazione dalle routine ossessive, unita all’impoverimento di risorse sociali, potrebbe aver favorito il ripresentarsi di una sintomatologia precedentemente risolta o di un malessere latente.

Le persone che prima della pandemia vivevano le situazioni “esterne” in conflitto con i propri bisogni e mantenevano un equilibrio quotidiano faticoso potrebbero, invece, aver vissuto positivamente il ricentramento facilitato dalla chiusura nello spazio domestico, spesso considerato il proprio guscio, un luogo sicuro e protetto. Allo stesso modo, pazienti che utilizzano strategie regressive ed evitanti per fronteggiare lo stress sembrano aver avuto beneficio dalla fase 1, in quanto i loro meccanismi di difesa hanno potuto essere mantenuti e rinforzati, mentre la fase 2, di reinserimento graduale, con tutte le esigenze di autocontrollo e sorveglianza dell’altro, è risultata fortemente ansiogena. Inoltre, i nuovi equilibri costruiti in risposta agli eventi traumatici possono talvolta essere disfunzionali, ad esempio, modificando il flusso della dimensione temporale e producendo un vissuto di tempo fermo. Anche una visione incerta e confusa del futuro, se protratta, può determinare un blocco psicologico, progettuale, comportamentale.

Pensa che questo buio periodo della nostra storia influenzerà a livello psicologico il futuro?

Da questo studio emerge una dimensione emotiva, definita “sindrome della capanna o del prigioniero”, osservata dopo lunghi ricoveri e detenzioni, che si presenta come uno stato di smarrimento unito al bisogno di continuare a rimanere al sicuro nel proprio rifugio. Chi la vive può sperimentare irritabilità, angoscia, stanchezza cronica, demotivazione, insicurezza, mancanza di concentrazione.

Va sottolineato che gli stadi di passaggio sono particolarmente critici, richiedendo risorse di adattamento e flessibilità e che, relativamente alle fasi del piano di emergenza, le decisioni che hanno determinato la tempistica non hanno potuto tener conto delle esigenze individuali: talvolta sono state accolte come imposizioni, con vissuti persecutori.

“Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema” è uno slogan che sintetizza bene, anche a livello psicologico, come un adattamento precedente possa essere valutato, in uno stato successivo, come uno squilibrio: la sintomatologia osservata  nelle fasi dell’emergenza Covid palesa in modo emblematico come la  rottura, in alcuni casi traumatica, di un equilibrio di vita possa portare ad una rinnovata e più intensa percezione dei bisogni, accompagnata da malessere fisico, psicologo, relazionale, sociale. Mostra pure come possa motivare comportamenti di recupero, oppure di rifiuto della precedente condizione e come possa offrire l’occasione per la messa in atto di meccanismi di difesa regressivi, ma anche per la ricerca di un livello di funzionamento più elevato e di una più ampia dimensione esistenziale.

“Mai l’equilibrio è così importante come sull’orlo di un baratro”.

Lascia un commento