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Francesco Marrelli e Miriam Del Biondo, segretari provinciali CGIL lanciano proposte per il turismo delle aree interne. Il distanziamento sociale ha portato sicuramente ad un rinnovato interesse dei turisti verso il nostro territorio provinciale che sta riscontrando un’affluenza ed un gradimento inaspettati. Questo, però, ci pone nuovamente dinanzi ad elementi di fragilità del territorio stesso e alla conseguente sfida irrisolta dei “Beni in comune” Rappresentano l’insieme delle ricchezze naturali, culturali ed architettoniche di un territorio ed appartengono ai fruitori di quel territorio. Quindi, sono beni di interesse generale che appartengono alla comunità.

I beni comuni appartengono alla nostra cultura, nascono con la nostra storia o con le vocazioni dei territori; dovrebbero essere a disposizione di tutti e tutte ma, troppo spesso, vivono di limitazione, incuria ed abbandono. I beni comuni sono la testimonianza di storia e memoria di un luogo, ne narrano le radici e identificano le comunità di appartenenza delle quali accompagnano e definiscono i cambiamenti.

La cura e la gestione intelligente dei beni comuni deve rappresentare per il nostro territorio un modo naturale per immaginare e progettare un diverso sviluppo economico e culturale; sicuramente favorendo il turismo culturale ed ambientale ma, soprattutto, favorendo e non ostacolando le attività delle comunità locali con l’intento di creare le condizioni per un’inversione di tendenza rispetto all’abbandono e allo spopolamento delle nostre aree interne.

Le disfunzioni dei servizi collegati ai beni culturali così come l’incendio di Monte Pettino, che segue di soli tre anni quello ancor più devastante della montagna del Morrone, ci portano a discutere di conservazione, gestione, tutela e cura. Il depauperamento, l’incuria o la distruzione dei beni comuni rappresentano un impoverimento per una intera comunità e per chi la incontra. Rappresentano l’impossibilità di un territorio come il nostro, ricco di arte, storia e natura, di rappresentare un’alternativa di senso alla povertà culturale e di significato verso cui sembriamo inevitabilmente avviati/e.

E’ necessario ricostruire una relazione, anche fiduciaria, tra amministrazione e cittadini di una comunità; far sentire questi ultimi protagonisti e destinatari delle scelte amministrative poste a fondamento della valorizzazione dei beni comuni.

Una partecipazione consapevole, favorita anche attraverso la formazione ed il coinvolgimento, al fine di ampliare e rendere disponibili competenze destinate a migliorare l’ambiente ed i luoghi in cui viviamo. In questa strana estate abbiamo assistiamo al ripopolarsi dei nostri borghi dove abbiamo presenze numericamente importanti grazie non solo alla bellezza, ma anche alla salubrità dei nostri luoghi e al senso di sicurezza che frequentarli infonde. Non è un fenomeno da sottovalutare, né da considerare passeggero e contingente. E’ un dato che deve portarci alla riflessione e alla conseguente riprogrammazione del territorio. L’offerta in termini di sicurezza e di bellezza delle nostre montagne, dei nostri boschi e dei nostri beni artistici ed architettonici attrae un turismo esperienziale che sta riscoprendo il nostro territorio, la nostra cultura, anche quella più rurale, la nostra storia ed il nostro cibo.

E’ nostro dovere lavorare sul territorio perché questo tipo di turismo diventi l’occasione per la valorizzazione e la rigenerazione delle nostre aree interne, ed anche delle nostre città. Diventi l’indicatore per scelte amministrative importanti e non limitate all’evento o all’emergenza. Perché di questo sembriamo vivere.

Vogliamo concludere questa nostra riflessione che vuole invitare al cambiamento della politica dei luoghi e della gestione dei beni comuni con queste parole di Franco Arminio: ‘Riabitare i paesi non è questione di soldi. I soldi servono a farli più brutti, a disanimarli. Per riabitare i paesi servono piccoli miracoli, miracoli talmente piccoli che li possono fare uomini qualunque…’. Uomini e donne dunque animate da volontà e da desiderio di invertire la tendenza all’abbandono perché capaci di parlare di beni comuni in termini di risorsa economica, culturale, sociale e demografica e non in termini di fonte di problemi di gestione e cura.

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