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“La nostra sveglia è impostata alle sei del mattino: giù dal letto, un caffe, indossiamo la mascherina e usciamo di casa per raggiunge i nostri luoghi di lavoro, i nostri reparti dove assistiamo pazienti/utenti fragili spesso non autosufficienti. I colleghi che smontano dal turno di notte lavorano con le cooperative. Questa mattina sono in turno con una collega dell’agenzia, siamo pochi ad avere il contratto diretto con l’azienda, un cocktail perverso di retribuzione e diritti a cui bisogna mettere un freno. Dal 1° gennaio 2020 nessuno di noi ha mai smesso di lavorare, né durante il primo Lockdown, né durante questa seconda fase della pandemia, siamo gli unici operatori della sanità in Italia a non aver ricevuto in busta paga un euro di indennità dai datori di lavoro e un euro di Bonus Covid dalla Regione”.

Sono le parole di Daniele Coordinatore Regionale CGIL FP sanità convenzionata Abruzzo / Molise  che prosegue:

“forse perché noi siamo figli di un Dio minore?

Si forse è vero, noi siamo infermieri, fisioterapisti, logopedisti, tecnici di radiologia, assistenti sociali, educatori, dietiste, oss, operatori sanitari di Serie B e di Serie C.

Tra strutture socio sanitarie RSA, centri ambulatoriali di riabilitazione (ex art. 26 dalla legge 833/78), Csa, Ra, centri psichiatrici, case alberghi, case di riposo e cosi via, trovi professionisti con la laurea, master, iscritti ai propri Ordini, in regola con gli ECM e l’assicurazione, che guadagnano 1200 euro medi al mese, lavano pazienti, assistono disabili, movimentano e fanno riabilitazione agli allettati, preparano le terapie, fanno prelievi, medicazioni, somministrano terapie tramite sondino, PEG, cateteri venosi centrali, svolgono anche altre mansioni faticose e quotidianamente lavorano gomito a gomito con colleghi assunti con le cooperative e con le agenzie. Ecco gli operatori sanitari di Serie B.

Poi abbiamo infermieri, oss e operatori sanitari assunti dalle cooperative e delle agenzie, ma che mettono in campo la stessa intensità di risposta assistenziale e di cura nei reparti; loro sono considerati operatori della sanità di Serie C.

Già prima della pandemia, tutto il personale della sanità delle strutture socio sanitarie, avevano un carico di lavoro che andava ben oltre le proprie possibilità. Adesso, per rispettare i protocolli Covid, l’intensità del loro lavoro è cresciuta notevolmente e pare che a nessuno interessi. A questi disagi sommiamo il fatto che il Servizio Sanitario Nazionale per far fronte alla pandemia ha aperto una campagna di assunzione del personale e a rispondere, guarda caso, sono stati soprattutto gli infermieri di Serie B e di Serie C provenienti dalle strutture socio sanitarie delle Rsa, Csa, Ra, ma anche i dipendenti delle cooperative e delle agenzie. Lo hanno fatto soprattutto perché sono stanchi di sentirsi professionisti di serie minore non perché attratti da salari più alti, ma soprattutto perché chiedono maggiori diritti e non vogliono più sentirsi infermieri di serie B e di serie C. E il paradosso è che questo esodo sta riducendo la forza lavoro nella sanita socio sanitaria, Rsa, con il rischio evidente che intere aree vadano in tilt e nessuno avverte oggi l’urgenza di avviare il tavolo delle trattive. Nel frattempo al personale rimasto per garantire la continuità assistenziale vengono sospese le ferie e spesso capita di essere richiamati in servizio anche nei giorni di riposo. E quando si manifestano dei cluster nelle strutture, il personale subisce una forte pressione psicologica, perché vedono colleghi e ospiti contagiarsi. La stanchezza è palpabile nell’aria, si può tagliare con un coltello. Infermieri, fisioterapisti, logopedisti, educatori, oss e operatori sanitari sono in attesa di un nuovo contratto. Quello scaduto da molti anni sottoscritto da alcuni sindacati autonomi ha sancito un passo indietro per condizioni di lavoro e tutele, aumentando le ore di lavoro passando da 36 ore a 38 ore e ha ridotto i salari introducendo il super minimo di cui sono stati esclusi i nuovi assunti ma soprattutto sono stati tagliati i diritti. Un pianeta questo della sanità socio sanitaria fatta di dumping contrattuali, di misere retribuzione e di tagli ai diritti. E mentre passano i mesi continua inarrestabile la fuga degli infermieri che abbandonano la sanità socio sanitaria Rsa, Csa, Ra, centri di Riabilitazione, Centri psichiatrici, preferendo altre tipologie di strutture, soprattutto gli ospedali pubblici e classificati o le grosse cliniche convenzionate. Questi sono solo alcuni dei motivi dell’emorragia del personale delle strutture socio sanitarie che si può frenare solo con un contratto di svolta che avvii un progressivo riallineamento di diritti, tutele e salari per chi opera nel sistema socio sanitario perché il sistema sanitario, è unico, è pubblico, ma è anche convenzionato ed è soprattutto universale. Ci auguriamo che si metta in campo una task force che riconosca salari, diritti e professionalità ai lavoratori delle strutture socio sanitarie RSA e dei centri ambulatoriali di riabilitazione (ex art. 26 dalla legge 833/78). Ricordo che con la firma della pre-intesa del 10 giugno sul Ccnl Sanità privata per acuti era prevista l’apertura del tavolo di contrattazione entro il mese di luglio, mentre poi sappiamo bene com’è andata a finire.

Chiedo che ai lavoratori delle strutture socio sanitarie RSA vengano garantiti gli stessi diritti le stesse tutele degli omologhi colleghi del pubblico e del privato convenzionato per acuti. Chiedo che il rinnovo contrattuale diventi un prerequisito fondamentale per mantenere l’accreditamento, così come chiedo che vengano rivisti gli standard delle dotazioni organiche, che, come hanno dimostrato i casi più eclatanti durante l’emergenza Covid, non sempre hanno garantito sicurezza a pazienti e lavoratori. Chiedo che si vada verso un riequilibrio dei contratti che ci possa portare nei prossimi anni al contratto unico della sanità. Dobbiamo dire basta al Dumping contrattuale e superare il grande ricorso a tutte le forme di precariato e di rapporti di lavoro, sotto inquadramenti, esternalizzazioni, appalti, sub appalti e questo vuol dire innanzitutto il contratto unico della sanità, il riconoscimento degli stessi livelli retributivi, stessi orari di lavoro e stesse tutele adeguate a tutti i lavoratori della sanità pubblica, di quella convenzionata per acuti fino ad arrivare ai lavoratori delle strutture socio sanitarie e in tutte le strutture in cui ci si prende cura degli utenti più fragili, come anziani e disabili”.

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