SULMONA – Le 21,32 del 7 marzo 2020. Solo chi non ha memoria dimentica troppo in fretta. Due anni fa il Centro Abruzzo cominciava a fare i conti con il famigerato Covid-19. Sulmona in particolare che fece registrare il suo primo caso di Coronavirus in assoluto. Anche se non autoctono. Il primo contagiato era un 60 enne originario di Sulmona ma residente a Roma. Il clima si fece subito incandescente in Valle e il sito della nostra emittente televisiva fu preso d’assalto. Poi esplose il focolaio in Alto Sangro con la prima vittima, Aldo Tesone. Per arrivare anche al contagio autoctono della Valle Peligna. Ad aprire la serie fu l’operaio della Saca fino al complicato fronte della clinica San Raffaele che tenne banco per diverse settimane fino all’inchiesta per omicidio colposo tuttora pendente. Pagine cruente non proprio piacevoli da rispolverare. In due anni il Covid è arrivato dappertutto: scuole, ospedali, strutture sanitarie, carcere di massima sicurezza. Anche da noi che ci abbiamo quasi stretto amicizia per via dei continui aggiornamenti. Senza sosta alcuna. Di giorno e di notte. Per dare un punto di riferimento alla popolazione al fianco dell’autorità sanitaria e delle istituzioni. Sono stati 12904 i casi messi a referto in due anni di pandemia in Centro Abruzzo su un totale di oltre 61 mila in provincia dell’Aquila, stando alle rilevazioni aggiornate allo scorso 4 marzo. 117 persone, 96 in Valle Peligna e 21 in Alto Sangro, hanno perso purtroppo la vita. Ai loro familiari va il nostro fraterno abbraccio. Dopo quattro ondate, svariante varianti, cambi di colore e dosi di vaccino, oggi il sistema può sfoderare tutti gli strumenti per fronteggiare il virus e superare, si spera, la pandemia. Ma dopo due anni di Covid come siamo diventati? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Nicoletta Romanelli, criminologia e psicologa, che ci aiuta a leggere gli strascichi di un’emergenza senza precedenti, che ovviamente non lascia conseguenze solo di tipo economico e sanitario:
“L’esperienza della malattia ha sortito conseguenze talora fatali, al punto da sconvolgere letteralmente la vita di intere famiglie e comunità. Il dramma della perdita di persone care scomparse all’improvviso senza neppure la possibilità di un ultimo saluto, senza l’opportunità di “ritualizzare e contestualizzare” la realtà della morte, gli effetti a lunga gittata del Covid, che hanno causato un recupero lentissimo sul piano fisico di molti, con ripercussioni sulla sanità pubblica, i molteplici effetti psicologici riscontrati a livello individuale e sociale, il cambiamento drastico di abitudini e stili di vita, la necessità di riprogettare i propri spazi mentali e vitali, la rimodulazione del lavoro e dello studio. I professionisti della salute si trovano dinanzi una sfida piuttosto complessa ed una disputa ancora insoluta da secoli, che vede protagonista la dicotomia di cartesiana memoria, mente e corpo. Nonostante la pandemia abbia scompaginato completamente le vite e le routine di tutti, il famoso “bonus psicologo” è stato introdotto soltanto da poco tempo. E questo dato di fatto è già sufficiente per intuire quanta scarsa importanza venga riconosciuta dallo stato e dalla società alla patologia ed alla sofferenza psicologica/psichiatrica. Eppure persistono tenaci strascichi psicologici del Covid quali paura e senso di solitudine e di abbandono. Stando a recenti studi, appunto, sarebbero le conseguenze più frequentemente registrate ma non per questo meno preoccupanti. A lungo si è discusso anche della Sindrome da Long Covid, ovvero dall’insieme di sintomatologie clinicamente significative che inducono nel paziente stati di alterazione dei bioritmi come debolezza persistente, astenia e affaticamento, cefalea, perdita di memoria ma anche una serie di criticità più squisitamente di ordine psicologico/psichiatrico quali alterazioni del tono dell’umore, stati di ansietà e/o depressivi, insonnia, disturbi del comportamento alimentare. Ciò significa che, per non buttare alle ortiche la lezione di vita a cui il Covid ha costretto un po’ tutti, è importante focalizzare l’attenzione sulla persona ed i suoi effettivi bisogni, effettuando concretamente un investimento a breve e a lungo termine sulla collettività, la salute psicologica della stessa ed il benessere psicofisico, in quanto garanzia di una maggiore produttività ed efficienza di qui al futuro. Esattamente il contrario di quanto sta accadendo oggi. La gente non si sente adeguatamente supportata da uno stato che, invece di aiutare l’individuo, restituendogli la sua dignità di essere umano portatore di valori e necessità, rende tutto ulteriormente difficile e gravoso. Uno stato che non ha mai investito abbastanza nel futuro dei suoi cittadini. Ad oggi sarebbe opportuno aumentare gli organici nei presidi sanitari, ridurre il numero di alunni per classe investendo nell’edilizia scolastica ad esempio, abbassare l’età pensionabile per permettere un rapido ed utile turn-over dei lavoratori, sostenere le imprese locali e non il mercato delle multinazionali. Le difficoltà registrate in questi lunghi anni di pandemia avrebbero dovuto trovare una congrua soluzione, consci delle palesi evidenze emerse ed invece non si è ottenuto nulla di buono a causa del completo disinteresse di chi dice di governare per il bene dei cittadini ma poi, in sostanza, pensa solo a sé”. (a.d’.a.)