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COCULLO – Un interessante convegno si è tenuto a Cocullo nei giorni scorsi. “Piccole comunità e piccoli comuni d’Italia: un progetto di salvaguardia”, questo il tema del convegno. Incontro molto partecipato, presenti sindaci del territorio, antropologi, responsabili ANCI, parlamentari. Antonio Carrara presidente del PNALM ha tenuto la relazione introduttiva. Numerosi gli interventi.

Un grido d’allarme è stato lanciato: Il rischio di sparizione di piccoli comuni, borghi e piccole comunità a causa del costante, inarrestabile spopolamento. Occorre comunque ricordare a tutti, in particolare alle autorità centrali, che bisogna tener nel debito conto le esigenze dell’uomo sul territorio.
Qualunque progetto di sviluppo, anche se ben finanziato, ma che non tenga conto della presenza dell’uomo sul territorio con i suoi bisogni di servizi, in primis il lavoro e la possibilità di avere un reddito, è destinato a fallire. I piccoli comuni, è stato osservato, hanno molto da offrire all’intero paese: un immenso patrimonio di cultura, di tradizioni, di beni ambientali, come monumenti, chiese, palazzi storici e molto altro, realtà che non possono essere ignorate e possono invece costituire una valore inestimabile per creare flussi turistici in grado di far sopravvivere le le piccole comunità territoriali. Ampio e qualificato il dibattito i cui risultato si possono sintetizzare in tre punti:

Una “zona franca” per i piccoli borghi montani a rischio sparizione
a causa dello spopolamento e delle distruzioni causate dagli eventi
sismici;
un documento approvato da tutti i borghi aderenti all’Anci,contro”l’abbandono”;
il sostegno della candidatura di Cocullo a patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco.
Al termine del convegno è stato sottoscritto un documento finale che può essere ben definito”La carta di Cocullo” contenente proposte per evitare lo spopolamento dei piccoli comuni. Pubblichiamo per intero il documento.
Gaetano Trigilio

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL CONVEGNO DEL 28 APRILE 2018 – COCULLO

Il destino dei piccoli paesi dell’Appennino centrale è un problema nazionale, che si inserisce nel più generale questione del rapporto tra le aree interne del paese e le aree costiere.
La progressiva rarefazione dei servizi è la caratteristica dominante e, al tempo stesso, una concausa e un effetto dello spopolamento in atto nei piccoli centri dell’interno. Il peggioramento della qualità della vita e le limitate possibilità di formazione e di lavoro spingono le giovani generazioni a lasciare questi luoghi per cercare maggiori opportunità altrove. Il peggioramento delle strutture viarie rende difficile e in qualche caso impossibile l’insediamento di unità produttive di qualsiasi tipo, oltre a creare problemi seri a quelle strutture produttive che già operano in questi territori. La carenza di strutture culturali, inoltre, porta all’impoverimento della vita civile e delle relazioni umane, indispensabili per la valorizzazione e della tutela del grande patrimonio artistico che in questi centri si è sedimentato nei secoli.
Per tanti anni, soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale, le amministrazioni comunali innervate da persone colte formatesi nelle grandi università del nord e del sud, hanno lavorato per fare dei borghi dell’Umbria, delle Marche, del Lazio e anche di alcune parti del territorio abruzzese e molisano un brand turistico nazionale. Esempio della capacità di resilienza di quella Italia di mezzo che metteva nella conservazione del patrimonio urbanistico e ambientale, ereditato dalle generazioni precedenti, tutta la propria intelligenza.
Oggi sembra che non sia più così. Il terremoto che ha colpito tutta l’Italia centrale, il dissesto idrogeologico e le avversità naturali hanno colpito la maggior parte di questo patrimonio nelle città, come L’Aquila, ma soprattutto in tanti piccoli centri.
Tra cittadini e amministratori pubblici si va, purtroppo, diffondendo un senso di impotenza e pessimismo. Ci si chiede: “E’ utile lavorare per riportare questi paesi allo splendore di un tempo? O non sarebbe meglio se le generazioni più giovani pensassero al loro futuro costruendosi una vita altrove?” Qualora questo sentimento dovesse prevalere, i piccoli paesi sarebbero destinati alla desertificazione e verrebbe meno quel patrimonio immateriale, fatto di tradizioni, di espressioni culturali, di pensiero e di eventi espressione di tante comunità, che negli anni ha trasportato in quei luoghi visitatori da tutto il mondo.
Ecco perché la presenza di oggi a Cocullo di tanti sindaci e associazioni è la testimonianza che c’è un vivace tessuto sociale e culturale, rappresentato da Amministrazioni Comunali, Parchi, Pro loco, Associazioni culturali etc., che a tutto questo non si rassegna e vuole reagire.
Occorre, tutti insieme, fare rete e mettere in campo azioni che invertano la tendenza.
In particolare, ci preme segnalare le proposte contenute nei documenti Anci, relative alla realizzazione di una macchina amministrativa che, utilizzando strumenti amministrativi e finanziari, metta borghi e comuni in condizione di operare efficacemente.
Riteniamo altresì necessario dispiegare le seguenti misure:
a) Mettere in atto azioni che diano visibilità e pongano la questione del destino dei piccoli borghi al centro dell’azione di governo nazionale;
b) Creare gli strumenti e le strutture attraverso le quali le comunità locali possano proporre progetti che rispondano ai bandi comunitari volti a sostenerne lo sviluppo economico e culturale dei territori. Nei borghi, infatti, esiste un capitale sociale di grande valore, che va stimolato e motivato a mettere in campo tutta la propria progettualità;
c) Promuovere agevolazioni fiscali per le strutture produttive che si insediano nei centri dell’interno o che già vi operano, in modo particolare per quanto riguarda l’artigianato, la valorizzazione e la messa a coltura dei prodotti tipici, il turismo e l’organizzazione degli eventi;
d) Migliorare la viabilità, condizione indispensabile per rendere i borghi interessanti sotto il profilo turistico, per consentire agli imprenditori di essere competitivi, per rendere i territori appetibili per nuove imprese, per tagliare i tempi di percorrenza per chi deve recarsi a scuola e al lavoro, per agevolare i servizi, sanitari e non. In breve, per migliorare la qualità della vita.
e) Garantire la salvaguardia della cultura popolare immateriale, tutelando e sviluppando le manifestazioni che la caratterizzano. In questo senso è importante che le Regioni interessate si dotino di strumenti legislativi con i quali si riconosca l’importanza della cultura popolare immateriale e si agevola l’accesso della stessa ai fondi europei.
In conclusione, crediamo che, nella grave situazione che stanno vivendo i piccoli borghi dell’Appennino centrale, la candidatura di Cocullo, della sua festa e della rete della devozione a San Domenico Abate, nella lista di Salvaguardia Urgente del Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco possa rappresentare l’occasione per dare visibilità e trasformare in problema di interesse nazionale la salvaguardia di un pezzo di Italia che il mondo ammira e che rappresenta un elemento identitario per l’immagine e la cultura nazionali.

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