C’è il via libera del Ministero su una parte dell’area della Snam. Lo rendono noto i comitati cittadini per l’ambiente che tornare ad appellarsi alle istituzioni. Non una sola – come si era ipotizzato inizialmente – ma diverse capanne dell’età del bronzo sono state individuate a Case Pente durante gli scavi di archeologia preventiva. Nel sito, dunque, vi era un vero e proprio villaggio protostorico, il che dimostra che il nostro territorio era abitato già 3500 anni fa, prima della fondazione di Sulmona.
Si tratta di una scoperta di eccezionale valore archeologico che però rischia di essere vanificata dalla protervia con cui la Snam ha deciso di andare comunque avanti nella costruzione della sua centrale di compressione: un’opera la cui inutilità – unitamente a quella del metanodotto Linea Adriatica – trova conferma ogni giorno di più perché i consumi di gas sono ai minimi storici e continuano a scendere sia in Italia che in Europa.
Questa fondamentale testimonianza della nostra storia rischia di scomparire per sempre sotto le colate di cemento che la multinazionale del gas si appresta a riversare sull’area; e ciò in totale spregio sia della normativa nazionale in materia che della Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico del 1992, ratificata dall’Italia, la quale considera come “costituenti il patrimonio archeologico tutti i reperti, beni e altre tracce dell’esistenza dell’uomo in passato, la cui salvaguardia e studio permettono di descrivere l’evoluzione della storia dell’uomo e del suo rapporto con la natura”.
Siamo in presenza di una vera e propria follia perché la distruzione di questo inestimabile patrimonio culturale sta avvenendo con il consenso del Ministero della Cultura. Risulterebbe, infatti, che a Roma vi siano stati incontri al vertice tra Snam e Ministero per avere il via libera nel procedere con la realizzazione della centrale. Sembra che la Snam abbia già ottenuto dal Ministero l’autorizzazione per circa la metà dell’area. Se ciò risultasse vero – e finora non sono giunte smentite al riguardo – si tratterebbe di un fatto di inaudita gravità e di un’aperta violazione delle Convenzione europea la quale impegna ogni Stato membro alla “costituzione di riserve archeologiche, anche dove non vi siano evidenti reperti in superficie o sott’acqua, per conservare le testimonianze materiali, affinché le generazioni future possano studiarle”.
Case Pente di Sulmona, come previsto dalla bibliografia in materia e dalle numerose tracce presenti sul terreno, si è rivelata una miniera sotto il profilo archeologico: oltre al villaggio dell’età del bronzo sono state rinvenute finora nel sito Snam circa cento tombe risalenti al V e IV secolo avanti Cristo, tre antiche costruzioni e un muro, tutte opere dell’epoca italica o romana. E’ altamente probabile, inoltre, che proseguendo negli scavi nelle aree adiacenti, possano emergere altre importanti testimonianze che andrebbero ad aggiungersi a tutte le altre rinvenute in passato. Risulta pertanto pienamente confermato quanto scriveva nel 2008 la Soprintendenza regionale, ovvero che Case Pente costituisce “un complesso archeologico tra i più importanti e inediti dell’area peligna, che cela i resti di un insediamento vasto e articolato, con tracce della viabilità, dell’abitato, della necropoli. La tutela di tale contesto storico impone la non alterabilità dello stato di fatto”.
Accettare passivamente quanto sta avvenendo significherebbe essere complici di chi pensa di poter violare impunemente le normative che tutelano il nostro patrimonio archeologico.
Rinnoviamo l’appello – finora caduto nel vuoto – al Comune di Sulmona e a tutti rappresentanti politici del territorio ad uscire dal torpore che finora li ha avvolti e a chiedere con forza che sull’intera area di Case Pente venga posto il vincolo archeologico da parte del Ministero, ciò al fine di conservare e valorizzare l’area sotto il profilo culturale e turistico e trasmetterne la memoria storica alle future generazioni.