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“Un nobile aristocratico appartenente al popolo, perennemente innamorato della vita, a qualunque costo”. Basterebbero poche parole per ricordare l’ex primario del reparto di anestesia e rianimazione, Giancarlo Cipriani, deceduto nei giorni scorsi per le conseguenze del contagio da Covid-19. Il ricordo dell’amico, della persona e del medico, arriva dal suo successore, l’attuale primario Vincenzo Pace. “L’ho conosciuto nel 1981 nell’atrio antistante il blocco operatorio dell’ospedale di Popoli. Maniche del camice rivoltate, lunga barba trascurata, un giro di sudore alle ascelle. ‘Se vuoi fare questo mestiere, dietro quella porta riuscirai a stancarti’. Conobbi così un infaticabile lavoratore. Aveva interessi variegati, sostenuti da una vasta cultura: la medicina innanzitutto, la musica, il teatro, la politica e Karl Popper, i viaggi, dalla Patagonia al mare di Lampedusa, da Manhattan alla neve delle Alpi. Aveva interesse per il nuovo. ‘Cogliere l’attimo ogni giorno’ consapevole della finitezza dei giorni: questo il suo messaggio. Un inguaribile ottimista, fiducioso negli altri, con intenso amore per la vita, per la bellezza, per l’eleganza raffinata, cultore della Gastronomia ricercata; tutto racchiuso nel suo sorriso. Era facile essergli amico”- scrive Pace. “Gli piaceva essere mattatore. Aveva il gusto irrinunciabile della battuta sagace, anche quando era acre, soprattutto doveva essere l’ultima. Amava Carmelo Bene. È stato uomo di sport, praticandolo. La montagna in ascesa e in discesa, sugli sci o su due ruote, con gli scarponi e un pezzo di formaggio nella sporta. Aveva il gusto dell’impresa, che riviveva nel racconto. Dello sport conosceva la tecnica, perché ne aveva la passione. Con gli scacchi liberava la sua intelligenza, talvolta crudele, ma sempre temperata dal sorriso. È stato un ottimo medico, completo nel saper fare, con la sua perspicacia diagnostica e la predilezione per gli studi di nicchia. Il suo messaggio resta il pragmatismo, non prediligendo i roboanti annunci di successi, che pur ottenne. Accogliente, garbato, generoso con i malati, i familiari, i colleghi. Ha gestito il reparto con equilibrio, infondendo in tutti sicurezza, coraggio, protezione. Gli dobbiamo molto. Lo abbiamo molto amato. Ha ingoiato più di un boccone amaro. Gli eventi imponderabili dell’avversa fortuna hanno rafforzato la sua volontà di resistere e di combattere. Ha conosciuto come ogni uomo le amarezze della vita, ma senza mai esporsi alla compassione. Tenacemente e con dignità ha affrontato la malattia, senza lamento, senza ostentazione del dolore. Si è affidato. Ci ha creduto – conclude Pace nel suo ricordo -. Per un breve tempo ci era riuscito, ebbro di vita ancor più di prima. Poi l’epilogo. Quando si è raccolto per l’ultimo estremo assalto a quelle maledette plasmacellule, è stato tradito. Dopo una vita trascorsa a prendersi cura degli altri, di giorno, di notte, nei giorni di festa, il destino gli ha servito un dono avvelenato. In solitudine ha capito e si è rannicchiato, aspettando. Ciò che resta è il suo sorriso, che quasi irride alla morte e ci indica che la via è l’amore per gli altri. In una parola chi era Giancarlo Cipriani? Un nobile aristocratico appartenente al popolo, perennemente innamorato della vita, a qualunque costo”. (a.d’.a.)

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