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SULMONA – Si sono riunite in un’abitazione privata circa dieci persone per quella che è stata ribattezzata una “rimpatriata irrinunciabile”. Alla fine una di loro, una giovane residente in Valle Peligna, ha contratto il Covid-19 e gli altri sono finiti nel portale della sorveglianza attiva della Asl. Accade a un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19, sul territorio peligno, dove le misure di contenimento del contagio sembrano cedere il passo alla stanchezza emotiva, alla voglia di riprendere una vita normale nonché a un rigetto delle restrizioni, dei colori e delle fasce di rischio. Ma in questo momento è vietato abbassare la guardia. A rilanciare un appello alla nostra emittente è Alessandro Grimaldi, primario del reparto malattie infettive dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. “Le misure adottate sono sostanzialmente norme di compromesso, ovvero l’avvicendamento dei colori”- interviene l’infettivologo- “ma se non accompagniamo queste misure con comportamenti virtuosi è praticamente inutile. Non dobbiamo noi cittadini aspettarci che lo Stato ci cali misure ad hoc ma dobbiamo agire responsabilmente. Non vedo questo senso civico ma spesso vedo un senso di spavalderia che fa un danno sia alle strutture ospedaliere che agli operatori economici. Se ci ritroviamo fuori dai bar con le mascherine abbassate sotto il mento è probabile che dopo una decina di giorni quel bar chiude”- si sfoga Grimaldi. Un forte appello al rinnovato senso di responsabilità che arriva da un addetto ai lavori alla luce della ripresa dei ricoveri nel nosocomio aquilano, soprattutto dall’area metropolitana. “Ognuno dice la sua. Ma dobbiamo essere molto seri e virtuosi altrimenti stiamo vaccinando per inseguire il virus. Nel momento in cui vacciniamo, se non siamo virtuosi, c’è il rischio che il virus si muti e rischiamo di vanificare gli effetti del vaccino. E questo non ce lo possiamo permettere”- conclude il primario. Già. Non ce lo possiamo permettere.

Andrea D’Aurelio

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