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L’emergenza sanitaria sta influenzando la nostra quotidianità, modificando significativamente i rapporti sociali, la comunicazione e le relazioni. Anche il sistema scolastico ne è rimasto inevitabilmente coinvolto. Ora, dopo mesi di differenti disposizioni territoriali, sono tornate per la maggior parte degli alunni le attività scolastiche offerte tramite canali telematici e, “in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”, la possibilità, solo per costoro, di svolgere attività in presenza (art. 43 del DPCM 2 marzo 2021). Al DPCM hanno fatto seguito più Note Ministeriali (la n. 343, la n. 10005, la n. 662) per precisare o chiarire alcuni passaggi, ponendo particolare attenzione alla “possibile frequenza degli alunni con disabilità” cui ormai si associano, inseparabili, gli alunni con BES, che la scuola riconosce come soggetti con particolari difficoltà scolastiche. A fronte di una normativa che prescrive la frequenza degli alunni con disabilità “nelle classi comuni” (art. 12 c. 2 della legge 104/92), che garantisce a tutti, indistintamente, il diritto all’educazione e all’istruzione e che ha stabilito la chiusura delle classi differenziali e delle scuole speciali, ossia dei luoghi che accoglievano alunni “scolasticamente fragili” o “non scolarizzabili” (legge 517/77), oggi assistiamo a un rincorrersi di indicazioni da parte di provvedimenti governativi e persino ministeriali, fino a quelli territoriali e delle singole istituzioni scolastiche, che rimandano a forme di organizzazione, peraltro definite inclusive, che reintroducono realtà cancellate dal nostro sistema scolastico da quasi 50 anni, che ricordano le abolite “classi differenziali”. Ovunque si legge che le classi, a fronte della sospensione delle lezioni, si aprono unicamente per gli alunni con disabilità e/o per gli alunni con BES; in esse vi entrano quasi esclusivamente i docenti specializzati per il sostegno, forse qualche figura educativa e in rarissimi casi i docenti disciplinari. Molti genitori, fortemente preoccupati, ci scrivono, chiedendoci dove sia la valenza inclusiva di una impostazione organizzativa, che contraddice senza alcun dubbio l’approccio inclusivo che da anni caratterizza la scuola italiana. Noi stessi ci chiediamo quale tipo di scuola si stia promuovendo, nel momento in cui, in netto contrasto con le stesse indicazioni pedagogico-culturali, si agisce per “etichette e acronimi”, indicando soluzioni che attestano la nostra incapacità di crescere, fra diversi, nello stesso contesto sociale e insistendo nel separare “i capaci dai meno capaci”. Riteniamo grave quanto si sta verificando nelle nostre scuole e lesivo proprio dei diritti in capo a ciascun alunno che, in quanto cittadino, ha il diritto di imparare a crescere e di apprendere insieme ai coetanei in contesti inclusivi aperti e non all’interno di “classi ghetto”. Per questo ci appelliamo al Ministro dell’Istruzione, prof. Patrizio Bianchi, affinché, a fronte di accertate condizioni di sicurezza, peraltro possibili in contesti che accolgono pochi alunni, nel pieno rispetto delle regole antiCovid, si diano indicazioni univoche alle Istituzioni scolastiche italiane rispetto alla frequenza, per ciascuna classe, di un piccolo gruppo eterogeneo di alunni, fra cui anche l’alunno con disabilità, con la presenza, secondo il proprio orario, di tutti i docenti della classe, ovvero delle figure professionali coinvolte.

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