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La percentuale di carboidrati e in generale di cibi con alto indice glicemico nella dieta ha un’influenza su come i geni vengono espressi, cioè su come le istruzioni genetiche contenute nel DNA vengono lette e tradotte in proteine. La ricerca, condotta dalla ricercatrice sulmonese, Fabrizia Noro, per conto del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed, rappresenta un passo in avanti per comprendere meglio i rapporti tra alimentazione e patologie degenerative. I termini “indice glicemico”, che indica la velocità con cui i carboidrati di un alimento causano un aumento dei livelli di zucchero nel sangue, e “carico glicemico”, che tiene conto anche della quantità di carboidrati contenuti nell’alimento stesso, stanno diventando sempre più noti tra i cittadini. E i rapporti di questi due parametri con la salute vengono studiati sempre più approfonditamente. Ad esempio, gli alimenti con un indice glicemico alto sono stati associati a un maggiore rischio di malattie come il diabete di tipo 2, l’obesità e le malattie cardiovascolari. La ricerca del Neuromed, pubblicata sulla rivista scientifica Clinical Epigenetics, esplora un aspetto innovativo: l’effetto che indice glicemico e carico glicemico hanno sulla metilazione del DNA, un meccanismo importante di regolazione delle informazioni genetiche, la cosiddetta “epigenetica”, che può influire sull’attivazione o la repressione di geni specifici. Lo studio è stato condotto sui partecipanti al Progetto epidemiologico Moli-sani.

“I nostri risultati – dice Fabrizia Noro, ricercatrice del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, prima autrice del lavoro scientifico insieme a Federica Santonastaso – hanno messo in evidenza come il consumo di una dieta ad alto indice e carico glicemico sia associato con un livello più basso di metilazione globale del DNA”. La metilazione globale è un fenomeno che avviene normalmente nelle nostre cellule e si riduce con l’avanzare dell’età. Ridotti livelli di metilazione risultano correlati sia con lo sviluppo di neoplasie che con malattie neurodegenerative e cardiovascolari. “La nostra osservazione che un’alimentazione ad alto indice e carico glicemico – continua Noro –correla con i processi epigenetici, ci offre la possibilità di comprendere meglio l’aumento o la diminuzione di rischio per determinate patologie. È interessante inoltre sottolineare che abbiamo riscontrato negli uomini da noi studiati livelli di metilazione globale, tre volte inferiori che nelle donne, naturalmente a parità di indice e carico glicemico della dieta. Questa è una osservazione che ben si inserisce nel crescente interesse scientifico per la medicina di genere”. “L’epigenetica – commenta Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione e professore di Igiene e Salute Pubblica all’Università dell’Insubria di Varese e Como – sta assumendo un ruolo sempre più importante nello studio di come le abitudini di vita possano influenzare, in positivo o in negativo, il rischio genetico di essere colpiti da alcune patologie. La differenza tra salute e malattia deriva dal complesso rapporto tra il nostro DNA, la cui struttura è immutabile, e le condizioni ambientali, come l’alimentazione, che ne possono alterare l’espressione funzionale. Studi come questo ci permetteranno di capire a fondo questi meccanismi”.

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