banner
banner
banner
banner
banner
banner
banner
banner
banner
banner

SULMONA – Aveva messo il cartello “affittasi” davanti alla sua abitazione del centro storico sulmonese ma quando si è presentato il potenziale acquirente  avrebbe fatto marcia indietro per il colore della pelle. Accade a Sulmona, nell’anno Domini 2021, alla faccia dell’integrazione sociale e dei valori della prossimità di cui la città si fregia per il suo glorioso passato. Un episodio, quello raccontato da Diao Hibrahima, giovane senegalese ormai sulmonese di adozione, che fa accapponare la pelle oltre a far cadere le braccia. Nel vero senso della parola. “Stavo cercando una casa in affitto e avevo trovato un annuncio. Per questo ho contattato il proprietario e abbiamo concordato un appuntamento. Quando mi sono presentato sul posto, dopo aver atteso per circa mezz’ora, ho notato subito una chiara diffidenza”- racconta il malcapitato Diao con un pizzico di amarezza. “Mi ha chiesto prima se ero di Sulmona e poi che lavoro facevo. Io sono barista. Mi ha quindi liquidato con un ‘lasse sta’. Ho capito subito che non mi voleva affittare la casa perché sono un uomo nero. Sono rimasto male. Non è che occupavo la sua casa senza pagare. Ma siamo tanti su questa terra. Mi sono fatto una risata e sono andato via”- confessa il giovane senegalese. Diao è arrivato in città nel maggio del 2015 come richiedente asilo nell’Europa Park Hotel. Si è subito integrato in città, attraverso studio e lavoro, guadagnando la stima e la simpatia del popolo sulmonese. Ha deciso di mettere su famiglia tant’è che lavora in un bar cittadino. Ora, con un figlio da mantenere, sta cercando una nuova casa. E’ incredibile nonché incommentabile la vicenda che è stata denunciata dal senegalese e che assurge agli onori della cronaca per essere stigmatizzata all’istante. Si parla di progresso e di società evoluta. Si fanno battaglie e si presentano progetti. Ma poi, dinanzi certi racconti inumani, si tocca con mano quanto è ancora lontana la strada dell’inclusione sociale, ovvero di una comunità che include e non esclude. Molto più semplicemente servirebbe rispetto per tutte le persone che hanno pari dignità. Fortuna che esistono numerose realtà che non la pensano allo stesso modo e rendono viva, bella e accogliente la città. Ma riteniamo anche gli operatori dell’informazione hanno il diritto-dovere di chiamare le cose con il proprio nome. Noi cerchiamo di farlo sempre.

Andrea D’Aurelio

Lascia un commento