SULMONA - Si è conclusa con una condanna a sedici anni e otto mesi di reclusione la vicenda giudiziaria scaturita dalla morte di Giuseppe Colabrese, il giovane 27enne di Sulmona originario di Pescocostanzo, ucciso in circostanze misteriose e trovato con il cranio fracassato e in avanzato stato di decomposizione in un bosco della Liguria.  La sentenza nei confronti di F.D.M., sulmonese di 27 anni e amico del cuore di Colabrese, è arrivata l’altro giorno dalla Cassazione che ha fatto scattare la traduzione nel carcere di Lanciano. Una condanna arrivata al termine dei tre gradi di giudizio in cui il giovane di Sulmona, unico imputato nel processo, ha sempre confermato la tesi portata avanti dall’inizio: lui, con l’uccisione dell’amico non c’entrava nulla. Ma i giudici non gli hanno creduto e lo hanno condannato a 16 anni e otto mesi di carcere, per omicidio preterintenzionale, mentre per l’ipotesi di reato di occultamento di cadavere, hanno trasmesso gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Secondo quanto ricostruito dalla magistratura, l’omicidio avvenne il 1° agosto 2015. Quel pomeriggio Colabrese arrivò con un treno alla Spezia da Sulmona, per poi prendere un autobus per Arcola dove avrebbe dovuto trascorrere un periodo di vacanza insieme all’amico. Ad attenderlo ci sarebbe stato proprio il 27 enne, che poi, una volta nel bosco, avrebbe sferrato un colpo violentissimo alla testa del 27enne utilizzando un oggetto contundente, forse un sasso raccolto lungo la strada. L’amico di Colabrese, secondo la Procura, conosceva bene quei luoghi perché i genitori sono proprietari di un’abitazione a Romito Magra, località vicina al bosco di Cerri. I carabinieri sono venuti a conoscenza dell’appuntamento dopo aver analizzato il traffico telefonico dei cellulari dei due ragazzi, per portare avanti un’attività di spaccio di hashisc. Il 27 enne, interrogato, disse che Colabrese era salito su un treno per Genova per far ritorno a Sulmona e che da quel momento non l’avrebbe più visto in quanto lui sarebbe partito per la Sardegna per un periodo di lavoro. Ma la sentenza definitiva ha fatto scattare il trasferimento in carcere.
Andrea D’Aurelio