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SULMONA – Non ci fu alcuna imperizia nè negligenza da parte dei sanitari operanti nella gestione del paziente Covid deceduto dopo la lunga attesa in ambulanza. E’ giunto a questa conclusione il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sulmona, Marta Sarnelli, che ha disposto l’archiviazione del procedimento penale per i quattro medici che erano finiti sotto inchiesta per la morte dell’80 enne di Villalago, Attilio Caranfa, avvenuta nel vecchio pronto soccorso del locale nosocomio, il 6 novembre 2020, in piena emergenza Covid. Si tratta del medico curante Francesca Ruta, dei medici operanti all’epoca nel servizio 118, Gabriella Ciacchi e Giovanni Liberato e del responsabile facente funzione del pronto soccorso, Michele Suffoletta, difeso dall’avvocato, Piercarlo Cirilli. Una vicenda delicata e drammatica che rimbalzò sulla cronaca nazionale visto il periodo complicato che stavano attraversando gli ospedali per via del ritorno di fiamma del Covid. Un sovraffollamento dovuto alla carenza di spazi e risorse umane. Ma in quel marasma la corretta gestione dei protocolli non è venuta meno come si evince dalla consulenza medico-legale effettuata dall’anatomopatologo, Luigi Miccolis, che eseguì l’autopsia sul cadavere di Caranfa. L’anziano era entrato in ospedale il 5 novembre per sottoporsi al tampone su indicazione del medico di base. Positivo al test antigenico avrebbe atteso il riscontro del molecolare in ambulanza per un intero pomeriggio e per parte della nottata, come previsto dalla stringente normativa delle prime ondate della pandemia. Una volta entrato nell’ex pronto soccorso sarebbe morto per arresto cardiaco. Da qui la denuncia dei familiari e l’inchiesta aperta dalla Procura che portò alla ricerca di un ospedale specializzato per svolgere l’autopsia sul paziente Covid. Operazione che durò circa una settimana. Dalle consulenze sanitarie è venuto fuori che la morte è stata cagionata da cause naturali, ovvero dalla polmonite bilaterale interstiziale provocata dall’infezione da Coronavirus. Durante la lunga permanenza in ambulanza, per più di 12 ore, il paziente era stato affidato all’equipaggio con assistenza medica. Poi nel vecchio pre triage sottoposto all’ossigenoterapia. Nonostante l’alta pressione sull’ospedale, secondo il giudice i sanitari del pronto soccorso e del 118 si sono attenuti ai protocolli vigenti per i casi sospetti Covid come pure il medico di famiglia fornì tutte le raccomandazioni del caso al paziente. Una tragedia nell’emergenza che brucia ancora dentro a distanza di anni, per la morte dell’anziano, per le tante vittime del virus e del sistema e per le difficoltà che i medici hanno patito durante quel periodo, senza risparmiarsi mai e senza compiere, nel caso di specie, negligenze o imperizie. Da qui l’archiviazione dell’omicidio colposo e della “morte in ambulanza”. Una vicenda che questa testata documentò fino a varcare la porta del vecchio pronto soccorso per denunciare le condizioni estenuanti dei pazienti e degli operatori. Da lì l’infezione da Covid che ci costrinse alla programmazione da remoto per circa un mese. Un’informazione sul fronte. Non da poltrona.

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