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Piano piano si fece Roma. Ma piano piano si può fare anche Sulmona, cioè fare comunità intorno agli scenari suggestivi e naturali del centro storico, riscoprirsi parte di un insieme, ricostruire l’identità di una città che mette insieme le sue potenzialità per essere appetibile, scelta e attrattiva, senza perdersi nel bicchiere d’acqua della polemica sterile. Il “miracolo” nella città che spesso non riesce a costruire e mettersi in sinergia, è arrivato con la rinomata kermesse, legata al festival Muntagninjazz, che ha tirato fuori il meglio della patria di Ovidio, quella forza che non è fuori ma dentro i sulmonesi, anche se spesso nascosta e dimenticata per via della scarsa lungimiranza e della rassegnazione. Una ventata di ottimismo e resilienza. Un programma pianificato dall’omonima ossociazione culturale che è stato valorizzato anche al di là del ponte San Panfilo, nel senso che funge ormai da calamita per far conoscere la città. Un’invenzione , quella di Piano piano, che si deve a Valter Colasante, il guerriero del jazz, scomparso lo scorso gennaio. Si dice che gli uomini passano ma le opere restano. Per questo Valter ha lasciato il segno. Un’opera- creatura, quella di Valter continua, che continua a risvegliare l’attaccamento viscerale alla città e alle sue piazze. Non una cosa da poco. Dieci postazioni in centro, 150 artisti coinvolti, a pianoforti dappertutto. Sold out nel parcheggio di Santa Chiara. Pieni alberghi e ristoranti. Non solo grandi nomi come Iannacci ma anche “geni nascosti” come Simone D’Amico e KTM. Perché la città è bella se sa includere. Ed il motore aggregare del Muntagninjazz è ormai palpabile

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