ROMA – La Corte d’Appello dell’Aquila, chiamata a pronunciarsi dalla Cassazione, ha scritto la parola fine sulla vicenda giudiziaria che vede protagonista un ristorante che opera sul territorio comunale del centro peligno. I giudici aquilani, con apposita sentenza, hanno revocato la sentenza del Tribunale di Sulmona limitatamente alla statuizione di condanna dei proprietari dell’attività di ristorazione alla restituzione della somma di 990 mila euro nei confronti di un istituto di credito e per effetto ha dichiarato l’ inammissibilità della domanda di restituzione proposta dalla banca nei confronti dei proprietari. Per il resto la Corte d’Appello ha confermato in toto i provvedimenti adottati dal Tribunale di Sulmona e ha compensato le spese dei tre gradi di giudizio tra le parti. La vicenda inizia nel 2014 quando la banca, tramite esecuzione forzata, confisca beni, terreni e proprietà della famiglia pratolana che gestisce il ristorante. I proprietari si oppongono al pignoramento. Nei due grandi di giudizio la famiglia viene condannata al pagamento di 990 mila euro. La Cassazione, invece, ha richiamato la competenza della Corte d’Appello dal momento che si è scoperto che la domanda riconvenzionale vantata dall’istituto di credito non esisteva agli atti. Circostanza, questa, al vaglio del Tribunale di Campobasso. Da qui la pronuncia dei giudici aquilani che accolgono l’impugnazione, presentata dall’avvocato, Giovanni Autiero Celidonio, per conto della famiglia pratolana, revocando la sentenza limitatamente alla condanna di quasi un milione di euro in essa contenuta. Per il resto è stata ritenuta legittima l’esecuzione coltivata dalla banca in riferimento ad ogni statuizione precedente, venendo meno l’ipotetico risarcimento danni. Le spese di lite sono state compensate e quindi ognuno pagherà il proprio avvocato. Il giudizio è chiuso ma il conto sarà salato.