di Andrea D’Aurelio SULMONA. C’è chi lo passerà a Cocullo per guadagnare la postazione privilegiata nel secolare Rito dei Serpari o in giro per la regione, nonostante il cielo plumbeo delle previsioni. C’è chi ha attrezzato l’arrostata a casa di amici e parenti, per lasciare in magazzino l’ombrello. Qualcuno festeggerà sul posto di lavoro, conquistato con le unghie e con i denti. Perchè il rosso sul calendario non è per tutti. Dai sanitari alle forze dell’ordine a quanti lavorano per i servizi essenziali. Gli “eroi” della quotidianità troppo spesso dimenticati. Ma tanti, anzi tantissimi, non potranno festeggiare visto il futuro tutt’altro che roseo. Con il fiato sospeso i 440 operai dello stabilimento Magneti Marelli di Sulmona. Per loro lo scenario non è proprio rassicurante. Il ritorno agli ammortizzatori sociali potrebbe avvenire già da giugno e per il 2028 dovrebbe fermarsi perfino la produzione del ducato. Si tratta della seconda azienda metalmeccanica più grande in Abruzzo come unità lavorative. Un indotto vasto che rischia di volatilizzarli nella più totale indifferenza delle istituzioni. Basti pensare che, per l’inefficienza di alcuni macchinari, alcuni pezzi vengono presi all’esterno per poi essere assemblati all’interno della fabbrica e portati a Stellantis. “Non far lavorare più 500 famiglie, con età media salita a 50 anni, significa mettere in ginocchio un’intera vallata”- spiegano alcune organizzazioni sindacali che hanno chiesto un incontro ai neo assessori regionali per sensibilizzare sul tema. La parola chiave è mobilitazione perché la Marelli non può essere un problema solo per chi ci lavora ma è una risorsa per la rete di azienda che gravita intorno alla fabbrica peligna. Nonostante il quadro tutt’altro che rassicurante, la parola magica “lavoro” sembra sparita dall’agenda politica, salvo alcune eccezioni. L’istituzione di un tavolo era stato infatti più volte sollecitato dalla consigliera comunale, Teresa Nannarone al sindaco, Gianfranco Di Piero che aveva chiesto un incontro con i vertici dell’azienda. Mentre la vice presidente del consiglio regionale, Marianna Scoccia, aveva annunciato di portare la vertenza in regione. Ma il sapore agrodolce del primo maggio si tocca con mano pensando anche ai morti sul lavoro. Tanti. Troppi. Senza contare che, almeno da un decennio a questa parte, si cresce senza sapere bene cosa si vuole fare da grandi, anche a trenta o a quaranta anni, perchè in fondo un’idea un tempo la si aveva, ma poi ti insegnano che la realtà è tutt’altra cosa e ti devi accontentare di quello che c’è e di un lavoro che non c’è e che seppure c’è non è quello che avresti voluto fare e per di più è sottopagato. Ed è così che il giorno rosso sul calendario, il primo maggio, diventa per molti un giorno nero. Al massimo un giorno “rosso relativo”.