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SULMONA – C’è chi può fare asporto e consegne a domicilio, chi può rimediare una camera per qualche occasione ma loro si sentono l’ultima ruota del carro. A un anno dall’inizio della pandemia si fanno sentire i titolari delle confetterie in città che nei mesi scorsi avevano scritto al Comune per chiedere di essere annoverati tra i beneficiari dei contributi alle attività. I ristori per le attività che ne hanno fatto richiesta sono arrivati, grazie all’impegno dell’assessore Marina Bianco, ma continua la disparità di trattamento in termini di tasse e imposte, ovvero Tari e Tosap,  perchè al livello governativo la categoria non esiste. Eppure il lavoro silenzioso si percepisce  e le perdite  economiche sono tangibili. Ci sono flussi turistici specifici nel corso dell’anno che, come la metafora del treno, passano una volta soltanto. E’ il caso del periodo pasquale, il secondo nella storia della città senza movimento. D’altronde per chiunque arriva il confetto resta l’elemento attrattore. “Svolgiamo un ruolo di volano per l’economia cittadina”- ricorda Maria Elisa Carugno- “siamo la prima attrazione per i turisti che trovano le nostre attività sempre aperte e a loro disposizione in ogni periodo dell’anno. Di questa azione di richiamo ne beneficiano a cascata tutte le attività economiche”. Morale della favola? Per gli esercenti dei confetti le tasse non cambiano, i ristori sono pressocchè una elemosina e sulla carta è come se non esistessero. Nessuno parla della categoria che, in una città come Sulmona, dovrebbe essere al vertice di ogni pensiero. Da qui lo sfogo-denuncia con la speranza di individuare le più idonee soluzioni per dare ossigeno al comparto.

Andrea D’Aurelio

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