SULMONA – Una ricerca sulla prima grotta abitata da Fra Pietro sul Morrene nel lontano 1241, è stata effettuata da Dante Petaccia sulmonese, impegnato da sempre nello sviluppo della ormai, famosa nel mondo, Giostra Cavalleresca che si tiene da anni a Sulmona, come rievocazione di un’epoca storica di grande interesse.
Petaccia fu il primo capitano del Borgo Pacentrano e molto ha fatto per lo sviluppo dell’Associazione Culturale Giostra. Questa attività tipicamente di volontariato ha suscitato in Dante il desiderio di conoscere ed approfondire momenti storici, forse bui e sui quali non si sa come è stato steso un velo di silenzio.
La ricerca storica di un periodo dicevamo buio mostra come Dante Petaccia si sia impegnato per fare chiarezza su una presunta frana avvenuta sul Morrone nella notte tra il 18 e 19 settembre del 1276. Sembra che la frana abbia seppellito il paesino di Segezzano con circa300 abitanti.
Secondo il ricercatore la notizia fu riportata durante un’omelia di monsignor Giuseppe Cercone di Pacentro negli anni ‘50 ed anche riportato in un libro :â€Storia d’Abruzzo†nella biblioteca vaticana.
LA MONTAGNA DEL MORRONE è stata frequentata da Pietro Angelerio, l’eremita Pietro da Morrone, il futuro papa Celestino V.
Pietro da Morrone edificò su questa montagna due eremi, il primo nel 1241 vicino Sulmona dove trovò ricovero in una grotta presso la piccola chiesa di Santa Maria, che in seguito fu distrutta dalla frana durante il terremoto del 1276. Oggi in questa località c’è la Badia Morronese o abbazia di Santo Spirito al Morrone. Il secondo eremo lo fece costruire nel 1293, ormai quasi ottuagenario, dove decise di ritirarsi per sempre l‘eremo di sant’Onofrio al Morrone.
La ricerca di Dante Petaccia mostra e fa scoprire come sia papa Clemente IV che Bonifacio VIII ben lungi dall’occuparsi della Chiesa si immischiarono negli affari politici favorendo alcuni sovrani che nel frattempo erano giunti in Italia. Petaccia ricorda anche il doloroso episodio del giovane Corradino di Svevia tradito dal papa e consegnato a Carlo D’Angiò che lo fece decapitare. Una ricerca storica che merita di essere letta e che Dante Petaccia potrebbe ancora approfondire e continuare.
Gaetano Trigilio