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Sta facendo discutere la notizia divulgata in questi giorni del protocollo d’intesa stipulato tra l’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso, la Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”, la Cooperativa COGECSTRE, e alcune università straniere, tra le quali anche l’Università degli Studi di León, per l’avvio della riproduzione assistita dell’orso bruno. Cioè, ampliare l’areale di diffusione dell’orso marsicano favorendo e sviluppando i corridoi ecologici già frequentati dall’animale. All’interno del progetto, a destare l’attenzione del pubblico, è stata la partecipazione dell’Università degli Studi di Léon che fornirà servizi di formazione veterinaria, in particolare attraverso il gruppo di ricerca ITRA ULE che si occupa in maniera specifica di tecniche di riproduzione assistita. A rassicurare la popolazione è Corradino Guacci, presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello” e fondatore con il presidente del Parco del Gran Sasso, Tommaso Navarra, della bozza di progetto che già nel 2013 aveva diffuso un appello in cui chiedeva di elaborare una strategia di conservazione ancora più incisiva di quella fino ad ora messa in atto. Ma l’Ispra aveva risposto negativamente poiché riteneva sufficiente il Piano d’azione già elaborato per l’orso marsicano, e l’introduzione di popolazioni geograficamente vicine. Esemplari di orso marsicano liberi in natura stanno cercando di riappropriarsi dell’Appennino con risultati che danno speranza. L’Ente Parco del Gran Sasso attraverso il progetto, in realtà, punta proprio a cercare di aumentare la propria appetibilità per il marsicano. Il Gran Sasso infatti aderisce già al progetto europeo Life Bear-Smart Corridors che mira proprio a favorire l’espansione della popolazione di orso bruno marsicano nell’Italia centrale sviluppando corridoi di coesistenza, dove le comunità locali potranno imparare a vivere con questa specie unica e ancora vitale in natura, benché fortemente minacciata. È questo l’obiettivo immediatamente realizzabile del progetto. Così spiega Guacci in un’intervista sulla rivista Kodami:

“Il progetto prevede l’istituzione di una banca dati genetica dell’orso bruno marsicano. Si tratta di uno strumento fondamentale per proteggere questa specie unica al mondo dalla scarsa variabilità genetica e dal rischio di estinzione. Ma la procreazione assistita resta un obiettivo un po’ lontano.

A breve procederemo soltanto con la formazione degli operatori dei parchi appenninici sulle tecniche per realizzare gli interventi finalizzati all’acquisizione del materiale genetico. Per queste giornate di formazione non c’è bisogno dell’ok da parte degli enti, partiremo da queste. Vogliamo sensibilizzare rispetto alla creazione di un database genetico che possa garantire un futuro ai marsicani, tutelandone l’unicità, un po’ come se fosse il panda italiano. La procedura per acquisire il materiale genetico non è semplice, Per le orse femmine si tratta di una operazione particolarmente invasiva dato che prevede un vero intervento in sala operatoria, una procedura non priva di rischi. Per i maschi invece il discorso è più semplice perché la raccolta del seme può essere attuata dopo la cattura e la sedazione, direttamente sul posto. Non è possibile procedere con le femmine di una specie fragile come quella marsicana, ma il discorso cambia per i maschi”. Per Guacci la soluzione si trova nella banca dati, prima che la specie arrivi al punto di non ritorno, magari salvaguardando individui ritenuti particolarmente prolifici e competenti, come era Amarena, una femmina molto prolifica e soprattutto una brava mamma poiché era riuscita a portare allo svezzamento tutti i suoi 4 cuccioli della prima cucciolata, un fenomeno estremamente raro, perché la mortalità dei piccoli è molto alta.  

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