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SULMONA – Dopo una settimana la polemica sembra non finire ed ecco che il capogruppo di Forza Italia Elisabetta Bianchi svela la verità sulla sua scelta di votare alle primarie del Partito Democratico. “La mia”- dice- “è stata solo una provocazione”. Spunta dunque la lettera che la Bianchi ha inoltrato al Presidente del Partito Democratico Matteo Orfini. Il capogruppo di Forza Italia ha fatto notare come a Sulmona è stato violato lo statuto dem ed è stato permesso a un consigliere comunale di Forza Italia di partecipare al voto. “Nonostante nella mia persona fosse chiaramente riconoscibile il consigliere comunale di Forza Italia, già candidato alla carica di sindaco nelle amministrative 2016, i componenti del seggio elettorale tra cui il consigliere Pd Roberta Salvati attualmente presidente di sezione nonché Sergio Dante, neo segretario di sezione e presidente del seggio – scrive la Bianchi ad Orfini -, in aperta contraddizione con l’art.2 comma 9 dello Statuto, mi consentivano il voto senza nulla obiettare, accogliendomi al voto con gentilezza e disponibilità per le quali ringrazio. Orbene l’art. 2 comma 9 dello Statuto, secondo la interpretazione autentica fornita dalla Commissione nazionale per il Congresso in data 30 aprile u.s., in merito alla possibilità per un iscritto a un movimento politico o partito politico diverso dal Pd di votare alle elezioni primarie per la scelta del segretario nazionale appare chiaro e netto nel senso che sono escluse dalla registrazione dall’anagrafe degli iscritti e dall’albo degli elettori del Pd le persone appartenenti ad altri movimenti politici o iscritti ad altri partiti politici. A tanto avrebbe dovuto attenersi il presidente di seggio di Sulmona Sergio Dante che avendo riconosciuto nell’elettore una persona con una delle caratteristiche di cui al citato 2 comma 9, aveva l’obbligo di non farla votare”. La Bianchi chiede al Presidente Pd Orfini di valutare la legittimità delle primarie, specificando che “ciò che deriva dalla disapplicazione delle regole è solo e soltanto la perdita di autorevolezza della legittimazione popolare del leader vincitore”.

Andrea D’Aurelio

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