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“Vieni a vivere all’Aquila. Bassi i costi, alta la qualità della vita. Una città circondata da bellezze naturalistiche, con una forte vocazione culturale, sicura, innovativa e pronta ad accoglierti”. È questo uno slogan con cui andrebbe tappezzata Roma (ma non solo) per promuovere la nostra città con un obiettivo preciso, puntare a 100.000 residenti, una soglia ideale che L’Aquila dovrebbe prefissarsi, avendone l’opportunità e la necessità.

L’opportunità ci viene offerta paradossalmente dalla pandemia e dai profondi cambiamenti provocati sulla società e sulle sue abitudini, alcuni probabilmente irreversibili. A partire dalla certificazione che lo smart working non può più essere considerato un surrogato del lavoro, ma una sua efficace e ormai acquisita alternativa, i cui effetti sono già misurabili: secondo diverse e autorevoli analisi il trend della “fuga dalle grandi città” è destinata a proseguire, con sempre più persone intenzionate ad andare a vivere in una casa più grande, in un ambiente meno affollato, meno costoso e più sicuro, mettendo in conto di dover tornare qualche volta al mese nella vicina metropoli per riunioni di lavoro o altre esigenze.

La necessità deriva invece dall’enorme patrimonio abitativo di cui disponiamo, in parte ereditato dalla gestione dell’emergenza sisma del 2009 e in parte recuperato grazie al processo di ricostruzione, e dall’insostenibilità urbanistica dell’attuale assetto in rapporto al numero di residenti. Insostenibile sia in funzione del costo dei servizi che gli enti pubblici devono erogare su un territorio vasto e poco densamente abitato come il nostro, ma anche in rapporto al pesante impatto che il gigante patrimonio abitativo pubblico (6.200 appartamenti di proprietà comunale tra progetti CASE, MAP ed abitazioni equivalenti) ha sul mercato immobiliare. Ridurre e riempire sono due azioni entrambe ineludibili.

Far coincidere opportunità e necessità rappresenta dunque la vera sfida, centrale rispetto a qualsiasi ragionamento di prospettiva, su cui vanno ideate strategie e adottate politiche conseguenti, ma rispetto alla quale si misurano anche miopia contro visione, conservazione contro innovazione, rendita contro investimenti. Un bivio che può condurre L’Aquila verso un pericoloso declino o, al contrario, verso un possibile rilancio. Una scelta che chiama in causa, però, ancora una volta, quell’idea di città sulla cui definizione l’attuale amministrazione non si è mai adoperata e di cui tanto invece ci sarebbe bisogno per orientare investimenti, generare nuove opportunità e attrarre risorse e nuovi cittadini. Puntando al potenziamento dei collegamenti fisici, relazionali e tecnologici (di cui le competenze acquisite sul 5G rappresentano un’incredibile valore aggiunto).

Quella declinata con lo slogan della “città della conoscenza”, su cui tanto si è investito in passato, rappresenta ancora oggi uno strumento su cui continuare a far leva per promuovere la ricerca, favorire l’innovazione e la diffusione di conoscenze utili allo sviluppo economico e sociale. In quest’ottica, il costituendo collegio di merito rappresenta un nuovo tassello che si aggiunge ad altri precedentemente posti sul puzzle, come l’istituzione del GSSI o l’introduzione del percorso di scuola internazionale in lingua inglese nei nostri istituti scolastici, pezzi di una strategia attuata con l’obiettivo di accrescere il capitale umano attraendo all’Aquila nuovi cittadini attivi. Attorno alle loro esigenze andrebbe però costruita quella rete di servizi utili a fare sempre più dell’Aquila una città dove i ragazzi scelgano spontaneamente di venire a frequentare le nostre università e i bravi docenti di venire a insegnare portando con loro le proprie famiglie. 

Mai come ora c’è bisogno di visione e di coraggio. Ma L’Aquila è disposta ad abbandonare le logiche clientelari e di potere per aprirsi a nuove opportunità?

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