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Più di 224mila decessi in un anno, circa 600 al giorno, a causa di malattie cardiovascolari. Di questi, 47mila si potrebbero evitare con la prevenzione attraverso anche un semplice controllo della colesterolemia e molte altre vite potrebbero essere salvate intervenendo in maniera più efficace su quelle persone (circa 1% della popolazione) interessate dall’ipercolesterolemia genetica che, se non trattate, hanno una prevalenza di morbilità e mortalità precoce (sotto i 50-55 anni) molto alta. In questo senso risulta fondamentale la raccolta, da parte delle società scientifiche, di dati nella popolazione, come quelli sulle forme familiari ottenuti dalla Società italiana studi sull’arteriosclerosi nell’ambito del progetto nazionale Lipigen. L’ipercolesterolemia rimane un fattore di rischio causale determinante, ma gli interventi per ridurlo non sono ancora ottimali. In Italia si è orientati alla prevenzione secondaria, facendo leva su armi formidabili di tipo farmacologico trascurando il grande beneficio che potrebbe derivare da una prevenzione primaria, non necessariamente farmacologica, quando la malattia non è ancora sviluppata completamente. Per abbassare il livello di rischio basterebbe agire modificando gli stili di vita e sugli interventi anche terapeutici. Ma occorre una grande sinergia tra le istituzioni e le società scientifiche per informare tutti gli stakeholders, a partire dal cittadino, per passare al paziente e ai provider di healthcare, senza escludere i dietologi, i dietisti, gli infermieri, per finire con la figura apicale del medico. Una sinergia che, con le nuove tecnologie disponibili, permetta di avere un quadro chiaro di come spostare il rischio dell’intera popolazione. La scienza ha stabilito in maniera definitiva che il colesterolo è il principale fattore di rischio per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari, quindi i livelli devono essere abbassati in tutta la popolazione in maniera proporzionale al rischio cardiovascolare. Due studi confermano il miglioramento delle strategie 
Quello condotto dal Policlinico IRCCS San Matteo di Pavia e dall’ANMCO che hanno istituito due registri focalizzati sulla gestione dell’infarto miocardico acuto a livello ospedaliero e sulla gestione dei pazienti con malattia aterosclerotica ad alto rischio in regime ospedaliero o ambulatoriale. Complessivamente, in circa tre mesi, sono stati coinvolti più di 12mila pazienti. Nell’ambito dell’ipercolesterolemia si sono registrati i valori di colesterolo ed il relativo trattamento farmacologico. Il primo registro si chiama EyeShot 2, ed è stato condotto lo scorso febbraio in circa 180 terapie intensive cardiologiche italiane, collezionando dati su circa 3mila pazienti con infarto miocardico acuto, valutando la terapia, inclusa quella ipocolesterolemizzante, al momento della dimissione ospedaliera registrando un miglioramento delle strategie ipocolesterolemizzanti rispetto ai registri precedenti: il 90% circa dei pazienti è stato dimesso con terapia statinica, perlopiù con statine ad alta intensità, ed al 60-65% dei pazienti veniva prescritta una associazione, altamente raccomandata dalle attuali linee guida europee, con ezetimibe. I farmaci di seconda linea, i cosiddetti farmaci biologici inibitori del PCSK9, sia anticorpi monoclonali che SiRNA, erano impiegati in circa il 5,5% dei pazienti al momento della dimissione ospedaliera. E questo fa pensare che il cosiddetto super fast-track, ossia l’impiego precoce della triplice terapia (statine ad alta intensità, ezetimibe, PCSK9 inibitori) possa essere nei prossimi anni implementato in termini numerici, con margini di miglioramento soprattutto per i pazienti ad altissimo rischio cardiovascolare con livelli di colesterolo LDL molto elevati. Anche nell’altro registro, il Bring-up Prevenzione ha valutato i pazienti con storia di aterosclerosi coronarica o malattia arteriosa periferica o cerebrovascolare con risultati analoghi. La ricerca è stata condotta, in tre mesi, su circa 4.500 pazienti arruolati in circa 200 cardiologie italiane in regime ospedaliero o ambulatoriale. E i dati sono assolutamente consistenti anche in questi pazienti con patologia coronarica cronica: nel 65% dei casi si è prescritta un’associazione di statine ad alta intensità ed ezetimibe, con i farmaci di seconda linea impiegati in circa il 6% della popolazione, con livelli di colesterolo LDL medio attorno ai 110 milligrammi per decilitro.

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